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Prima puntata della serie “E QUALCOSA RIMANE – IL 1975”

Il 2025 è un anno molto importante, perché compie mezzo secolo quello che, parafrasando Nanni Moretti, si potrebbe definire “uno splendido cinquantenne”: il 1975.
Già, perché “l’anno vecchio se ne va e mai più ritornerà” dice una vecchia filastrocca, però ci sono anni che lasciano un segno indelebile, non solo nella memoria di chi li ha vissuti ma anche in chi è nato dopo. Tutto il decennio dei Settanta, in verità, è indimenticabile, nel bene e nel male, ma concentriamoci sull’anno di mezzo.

CON LA RADIO NON SI SMETTE DI PENSARE

Prima puntata

In quel momento Francesco non avrebbe risposto al telefono, ma è felice di farlo sentendo la suoneria personalizzata con la musica di Ci Vorrebbe Un Amico, di Antonello Venditti, che lo informa che a chiamarlo è l’amico omonimo che non sentiva da mesi.
«Francesco detto Ciccio, ciao! Da quanto tempo! Com’è?»
«Bene, grazie. È vero, dobbiamo recuperare. Puoi parlare un po’?»
«Pochissimo, sono in tribunale e sto aspettando che inizi un’udienza, ma finché non mi chiamano possiamo parlare.»
«Mi dispiace disturbarti. Ti chiedo solo una cosa al volo, poi ci sentiamo quando avrai più tempo. Si tratta di questo. Quest’anno sono cinquant’anni che mi sono laureato e vorrei scrivere qualcosa sul ’75. Secondo te qual è l’avvenimento più importante di quell’anno?»
«E me lo chiedi?» risponde Francesco senza esitazione, «lo stesso a cui avrai pensato anche tu. Le radio libere, no?»
«Infatti, lo sapevo. Ma è stata anche un’occasione per sentirci. Va bene, chiamami quando puoi, così ci facciamo una rimpatriata almeno telefonica, in attesa di vederci. Salutami l’avvocatessa.»
«Sarà fatto. E tu salutami la professoressa.»
Chiuso il telefono, Francesco guarda il collega che rappresenta la controparte. Nel ’75 non era ancora nato o era un bambinetto e conosce solo per averle sentite o lette tutte le cose, belle e brutte, successe in quegli anni. Non le ha vissute, come lui e gli altri della sua generazione.
Nell’attesa che chiamino la loro causa, decide di chiedere all’altro avvocato cosa sa del 1975, e rimane piacevolmente sorpreso nello scoprire che non è del tutto digiuno.
«Prima ho sentito che hai parlato delle radio libere e nel citarle hai avuto lo stesso entusiasmo che ha mio padre quando ne parla. Ci ha cresciuti, me e mia sorella, con le musiche di quegli anni e ci ha sempre fatto una testa tanta con i racconti di quando faceva il disk jockey in una radio privata. Non ricordavo, però che sono nate nel ’75. Sono più preparato sul ’78, l’anno del sequestro Moro e anche il mio anno di nascita. Da come ne parlate, si direbbe che le radio libere, come le chiamate voi, siano state una specie di rivoluzione culturale.»
«È così, infatti. È cambiato radicalmente il mondo della comunicazione, grazie a una sentenza della Consulta, che ha dichiarato incostituzionale il monopolio della Rai. Con le radio private si aprirono enormi spazi di partecipazione per una larga parte della popolazione: chiunque poteva aprire un’emittente, bastava un locale qualunque, che so, una stanzetta o un garage, e poche apparecchiature e ti affacciavi sul mondo. Un mondo che poteva essere il tuo quartiere o al massimo la città, era come affacciarsi al balcone e parlare, ma molti ti ascoltavano e volevano esserci anche loro. Infatti, chiunque, telefonando, poteva dire la sua su qualunque argomento. Un po’ come avviene oggi con i cosiddetti social media.»
«Si, la radio con cui collaborava mio padre era minuscola, ma mi ha detto che aveva un discreto seguito, anche perché oltre alla buona musica facevano anche controinformazione, la definisce lui.»
«Complimenti a tuo padre, allora. La maggior parte della radio trasmettevano musica commerciale e anche l’informazione che facevano era banale. Quelle impegnate non erano molte, ma hanno dato un contributo notevole alla diffusione della “Musica Ribelle”, come la chiama Eugenio Finardi nella sua canzone omonima. Conosci Finardi?»
«L’ho sentito nominare, ma a parte la canzone che hai citato non ne conosco altre.»
«Ne ha scritte tante, ma quelle simboliche di quegli anni sono due, “Musica Ribelle” appunto e “La Radio” dedicate ai due fenomeni dominanti in quel periodo, la nuova musica italiana e le radio libere, che ebbero il grande merito di far diventare familiare al grande pubblico la nuova generazione di cantautori. Fu anche grazie alle radio libere che le loro canzoni entrarono prepotentemente nella nostra vita.»
«E oltre alle radio e alla musica ribelle che altro è successo, nel ’75?»
«L’evento più importante è stato senza dubbio la fine della guerra in Vietnam. Avrai visto anche tu le immagini delle truppe americane che abbandonano Saigon e quelle spettacolari, come il finale di un film, dell’ambasciatore americano che il 30 aprile sale sull’elicottero atterrato sul tetto dell’ambasciata. E poi l’avvio, ancora in sordina, di un’altra rivoluzione culturale, quella tecnologica, con la fondazione della Microsoft. Bill Gates fu davvero profetico nell’affermare “Nel futuro vedo un computer su ogni scrivania e uno in ogni casa”.»
«Fu prudente, nella sua profezia, perché ce ne sono molti di più.»
«Ma l’eredità più bella di quegli anni è la musica! … Ma mi sa che fra poco tocca a noi. Entriamo.»

Di Salvatore Azzuppardi Zappalà

Salvatore Azzuppardi Zappalà, scrittore, è nato e vive a Catania. Dopo la laurea in Scienze Politiche ha lavorato come bancario e poi consulente finanziario indipendente. Specializzatosi in Diritto Bancario è anche consulente tecnico-legale su contratti di finanziamento e investimento. Ama le buone letture (i suoi pilastri sono Victor Hugo, Hemingway, Steinbeck, Conrad e Garcia Marquez), la buona musica italiana ed è appassionato di storia, in particolare della Seconda Guerra Mondiale. Su quel tragico periodo ha collezionato testimonianze di vita vissuta, che ha raccolto nell’antologia 1943-1945. Per non dimenticare. Nel suo primo romanzo – “Ti ricordi quella strada …​“, Algra Editore – l’Italia degli anni Settanta fa da sfondo alla storia di Lia e Francesco, in questo che non è solo un romanzo storico, di formazione e di sentimenti (non sentimentale, però), ma un tributo a uno dei periodi più controversi della nostra storia repubblicana. Non solo anni di piombo, ma soprattutto anni fertili, gli anni dell’impegno in politica e nel sociale, gli anni in cui si prese coscienza delle problematiche ambientali e dell’importanza della partecipazione.