Anche a San Martino, il dio delle battaglie, il popolo palermitano è devoto; devoto al suo solito, s’intende, vale a dire banchettando a maggior gloria del santo.

E’ un tal giorno che s’imbandiscono a tavola i più grassi tacchini della terra; e cotesta del tacchino è un’abitudine così inveterata, che tu non sai bene se la festa sia in onore del dio Martino o del dio Tacchino: è un bellissimo argomento per un archeologo.

Non è una descrizione di oggi, così si esprimeva un tale Onufrio nel 1882. Come si può facilmente notare la tradizione in Sicilia è ancora abbastanza rispettata. Ma avevamo bisogno di scomodare questo Onufrio per raccontare ciò?

Onufrio fa parte delle persone dimenticate. Non so, infatti, in quanti abbiano avuto modo di saperne di più su questo personaggio.

Onufrio non fu una persona qualsiasi

Enrico Onufrio (Palermo, 14 novembre 1858 – Erice, 28 settembre 1885) è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano, non un giornalista qualsiasi, non un poeta qualsiasi. Apparteneva ad una famiglia borghese di Palermo. Il padre, Andrea Onufrio, era un artista. antiquario e mobiliere, un intellettuale palermitano oggi quasi dimenticato.

Andrea Onufrio, ispirato dal clima culturale dell’epoca, realizzava arredi fatti a mano, eleganti ed originali.

Ritornando ad Enrico, questi svolse un ruolo significativo nel panorama letterario siciliano, nonostante la sua breve vita. Spirito audace e polemico, fu comproprietario e collaboratore del giornale, pubblicato a Milano, “La Farfalla” di Sommaruga, dove difese Émile Zola e si immerse nel dibattito infuocato sul realismo. Con un noto articolo del 1877, “Il realismo in arte”, espresse posizioni chiaramente ispirate a Zola.

Nel suo romanzo L’ultimo borghese, si percepisce un’influenza del documentarismo zoliano e un interesse per la teoria dell’ereditarietà.

Con il suo lavoro, Onufrio contribuì a rompere gli schemi provinciali della cultura siciliana del periodo. Quando si trasferì a Milano nel 1877 per dirigere con Sommaruga La Farfalla, trovò nella capitale lombarda un ambiente affine al suo spirito ribelle e democratico, vicino alla scapigliatura milanese.

Angelo Sommaruga

Angelo Sommaruga nacque a Milano il 23 dicembre 1857. Nel 1876, mentre lavorava per una società mineraria a Cagliari, fondò la rivista letteraria quindicinale La Farfalla. Due anni dopo, lasciato il lavoro, tornò a Milano e riprese la pubblicazione della rivista in società con l’amico Enrico Onufrio, che lo raggiunse da Palermo. A Milano, La Farfalla divenne settimanale. La rivista ospitava contributi di autori della Scapigliatura.

Fondamentale per il successo della rivista fu il supporto di Felice Cavallotti, ma nonostante l’entusiasmo, Sommaruga e Onufrio dovettero cedere La Farfalla per difficoltà economiche. Dopo una breve tappa a Bologna, dove incontrò personalità come Giosuè Carducci, o Giovanni Pascoli, si trasferì per alcuni anni in Sardegna. Poi, incoraggiato da Carducci e andò a Roma per avviare nuovi progetti editoriali. A Roma fondò il quotidiano Capitan Fracassa, a cui collaborò Gandolin, e la rivista letteraria La Cronaca Bizantina, il cui primo numero uscì il 15 giugno 1881.

Nel 1882 offrì a Gabriele D’Annunzio il suo primo contratto editoriale. Sommaruga pubblicò inoltre il quotidiano Nabab e La Domenica Letteraria e il settimanale Le forche caudine, ma le polemiche e alcuni procedimenti giudiziari travolsero l’iniziativa, portando Sommaruga a una condanna per truffa e alla chiusura della sua casa editrice. Costretto all’esilio, si trasferì in Argentina, dove fondò la Casa Editrice Sommaruga & C. e acquistò il quotidiano La Patria Italiana, rivolto alla comunità italiana locale. In Argentina, si dedicò anche al commercio d’arte, inizialmente trattando opere italiane e più tardi, una volta trasferitosi a Parigi, anche opere di artisti statunitensi. Rientrato in Italia, ormai molto ricco, trascorse gli ultimi anni pubblicando monografie d’arte e donando importanti opere d’arte moderna a istituzioni pubbliche. Morì a Milano il 14 novembre 1941.

Per concludere con Enrico e San Martino, il testo citato all’inizio non omette di ricordarci che:

Il dolce occasionale di San Martino è il biscotto, un biscotto sui generis, grosso e rotondo; e per conservare intatte le sacre tradizioni degli avi, cotesto biscotto bisogna inzupparlo nel moscadello. E crepi l’avarizia!

E noi oggi ce ne ricorderemo! Buon San Martino cari lettori.