Tra memoria e riflessioni, Peppino Impastato è oggi più che mai testimonianza di impegno e coraggio
Il 9 maggio di ogni anno, in occasione della ricorrenza della morte di Peppino Impastato assistiamo e partecipiamo a deversi eventi in memoria del giornalista ed attivista siciliano ucciso brutalmente dalla mafia.
Una morte che ha subito pesanti depistaggi e a cui la stampa riservò pochissima attenzione, anche per via di una terribile coincidenza che catalizzo l’attenzione di giornali, politica ed opinione pubblica: il 9 maggio il corpo di Aldo Moro, Presidente della Democrazia Cristiana, veniva ritrovato senza vita, crivellato da dodici colpi di pistola nel portabagagli di un’automobile Renault 4 rossa, 55 giorni dopo il suo rapimento per mano delle Brigate Rosse.
Il dovere della memoria e della riflessione
E’ nelle parole del fratello Giovanni Impastato, che riusciamo a comprendere bene il significato profondo della storia e delle battaglie di Peppino, il siciliano diventato esempio e testimonianza di lotta concreta alle mafie e alla loro prepotenza:
«I mafiosi hanno commesso un errore. Mettendolo a tacere, hanno amplificato la sua voce. E non è solo questione di quanto si fa sentire: è questione di qualità del messaggio, perché se è la vittima a parlare, tutti tacciono, perché la sua autorevolezza è indiscutibile».
La memoria, certamente, non può ridursi ad una data. La memoria attraversa le generazioni e resiste al passare del tempo solo se riusciamo a tramandarla, a farne esperienza quotidiana, educando i più giovani ai principi di giustizia e legalità.
E’ la memoria a contribuire a strutturare la nostra identità individuale e collettiva, e ciò riflette profondamente nella società in cui viviamo.
Guardandoci intorno, osservando l’evolversi del sistema mafioso, i suoi meccanismi, il suo mimetismo nei luoghi di potere, comprendiamo che la mafia non è affatto vinta, anzi è sempre pronta a rigenerarsi grazie al servilismo e alla complicità di politici ed amministratori corrotti.
Da questa “collaborazione” ognuno trae i propri vantaggi senza pudore, in uno scambio di favori che inquina fortemente la nostra società dalla base ai vertici.
La vita di Peppino Impastato
Giuseppe Impastato, detto Peppino, nasce il 5 gennaio 1948 a Cinisi, in provincia di Palermo, figlio di Felicia Bartolotta e di Luigi Impastato.
Il padre Luigi era legato alla malavita locale, dedito ad attività illecite e amico del boss Gaetano Badalamenti, detto Tano, l’uomo che ordinò l’assassinio di Peppino.
Le denunce pubbliche di Peppino Impastato riguardo agli affari sporchi della mafia locale divennero scomode a tal punto che fu lo stesso Tano Badalamenti a mettere in guardia l’amico Luigi Impastato circa l’imperdonabile comportamento del figlio Peppino e dei rischi a cui si stava esponendo.
Attivismo e giornalismo: l’anima di Peppino in tutto ciò che faceva
Peppino era un ragazzo intraprendente, con un grande spirito di iniziativa. Fondò il giornalino “L’idea socialista”, organizzò l’Associazione Musica e Cultura con la quale promuoveva attività culturali e musicali, associazione che divenne punto di riferimento per i giovani di Cinisi.
Peppino portò avanti l’attività giornalistica pur non essendosi mai iscritto all’albo, e lo fece con inchieste come quella sulla strage di Alcamo Marina, avvenuta il 27 gennaio del 1976 quando furono barbaramente assassinati l’Appuntato Salvatore Falcetta ed il Carabiniere Carmine Apuzzo.
Radio Aut e la trasmissione radiofonica Onda Pazza
Insieme ad un gruppo di amici che condividevano i suoi stessi ideali, diede vita a Radio Aut, un’emittente autofinanziata che si occupava di controinformazione.
Durante la trasmissione radiofonica Onda Pazza, Peppino denunciava pubblicamente la politica locale corrotta, i crimini e gli affari illeciti, lo faceva soprattutto attraverso la satira, sbeffeggiando politici e boss, primo fra tutti Tano Badalamenti, da lui ribattezzandolo Tano Seduto.
I potenti uomini d’onore di Mafiopoli (così Peppino chiamava Cinisi) avevano paura di quel ragazzo testardo, che non mostrava alcun timore e sbeffeggiava la mafia.
Peppino Impastato e la politica
Peppino Impastato si dedicò per senso civico alla politica e proprio nel 1978, anno del suo omicidio, partecipò alle elezioni comunali a Cinisi con una lista ed il simbolo di Democrazia Proletaria.
In una sua biografia, Peppino Impastato scriveva così di sé e delle ragioni che lo spinsero ad occuparsi di politica come strumento di lotta:
“Arrivai alla politica nel lontano novembre del ’65, su basi puramente emozionali: a partire cioè da una mia esigenza di reagire ad una condizione familiare ormai divenuta insostenibile.
Mio padre, capo del piccolo clan e membro di un clan più vasto, con connotati ideologici tipici di una civiltà tardo-contadina e preindustriale, aveva concentrato tutti i suoi sforzi, sin dalla mia nascita, nel tentativo di impormi le sue scelte e il suo codice comportamentale.
E’ riuscito soltanto a tagliarmi ogni canale di comunicazione affettiva e compromettere definitivamente ogni possibilità di espansione lineare della mia soggettività.
Approdai al PSIUP con la rabbia e la disperazione di chi, al tempo stesso, vuole rompere tutto e cerca protezione…
Erano i tempi della rivoluzione culturale e del “Che”. Il ’68 mi prese quasi alla sprovvista. Partecipai disordinatamente alle lotte studentesche e alle prime occupazioni. Poi l’adesione, ancora una volta su un piano più emozionale che politico, alle tesi di uno dei tanti gruppi marxisti-leninisti, la Lega…
Passavo, con continuità ininterrotta da fasi di cupa disperazione a momenti di autentica esaltazione e capacità creativa: la costruzione di un vastissimo movimento d’opinione a livello giovanile, il proliferare delle sedi di partito nella zona, le prime esperienze di lotta di quartiere, stavano lì a dimostrarlo…”
Il giorno delle elezioni comunali per lui non arrivò mai. La sua vita venne spezzata nella notte fra l’8 e il 9 maggio di quell’anno, a soli 30 anni, per volontà del boss Tano Badalamenti.
Mamma Felicia, donna coraggio
A raccogliere il testimone di Peppino, le sue idee, le battaglie contro la mafia e la cultura mafiosa, è stata senza dubbio Felicia Bartolotta, madre coraggio di Peppino Impastato.
“Peppino non sopportava l’ingiustizia. Io sono orgogliosa di lui. Certo la ferita è sempre aperta, ma oggi tutti ricordate Peppino.
La casa di Felicia è sempre rimasta aperta a quanti hanno voluto conoscere la storia di suo figlio Peppino, soprattutto ai più giovani. Felicia spiegava così la sua scelta di accogliere i visitatori:
“Perché mi piace parlarci, perché la cosa di mio figlio si allarga, capiscono che cosa significa la mafia. E ne vengono, e con tanto piacere per quelli che vengono! Loro pensano: Questa è siciliana e tiene la bocca chiusa.
Invece no. Io devo difendere mio figlio, politicamente, lo devo difendere. Mio figlio non era un terrorista. Lottava per cose giuste e precise”
Oggi però la memoria rischia di essere calpestata.
A causa di un cavillo burocratico la casa confiscata e oggi in gestione all’Associazione Impastato potrebbe tornare alla famiglia di Tano Badalamenti.
Così, la credibilità delle istituzioni vacilla sotto al peso di una burocrazia stolta e che sporca lo Stato italiano con macchie di incoerenza.