Paolo BorsellinoPaolo Borsellino

Il 19 luglio 1992 il magistrato Paolo Borsellino perde la vita in un attentato a Palermo, in Via D’Amelio, insieme agli agenti della sua scorta: Agostino CatalanoEmanuela LoiVincenzo Li MuliWalter Eddie Cosina e Claudio Traina

Era legato sin dall’infanzia all’amico Giovanni Falcone, insieme al quale portò avanti la lunga e non ancora vinta lotta a Cosa nostra. Chiamati entrambi a far parte del pool antimafia istituito dal magistrato Rocco Chinnici, assassinato dalla mafia il 29 luglio 1983 e sostituito da Antonino Caponnetto che guidò la squadra di magistrati dal 1984 fino al 1990.

Il Pool antimafia portò all’arresto di oltre 400 mafiosi dando il via nel febbraio del 1986 al maxiprocesso, il primo processo dello Stato a Cosa nostra, conclusosi con la sentenza della Corte di Cassazione il 30 gennaio 1992.

Paolo Borsellino, come altri magistrati prima di lui, pagò con la vita il suo lavoro e la sua determinazione nella lotta a Cosa nostra.

Paolo Borsellino perdeva la vita dopo aver visto morire l’amico e compagno di lavoro più caro, a 57 giorni dalla strage di Capaci nella quale Giovanni Falcone e la sua scorta erano stati assassinati con l’attentato forse più eclatante: cinque quintali di tritolo sventravano l’autostrada palermitana, al chilometro 5 della A29, nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine.

Un attentato plateale, come mai se ne erano visti prima di allora.

Paolo Borsellino – Speciale Tg1 – 1 giugno 1992 (9 giorni dopo la strage di Capaci)

Il video che segue è del 25 giugno del 1992, dopo l’attentato a Giovanni Falcone. Salvatore Borsellino è visibilmente amareggiato e profondamente scosso, ed esprime pubblicamente la sua riflessione sulla morte di Falcone:

“Non voglio dire che Giovanni Falcone cominciò a morire nel gennaio 1988 e che questa strage del maggio 1992 sia il naturale epilogo di questo processo di morte. Però quello che ha detto Antonino Caponnetto è vero, perché oggi che tutti ci rendiamo conto di quale è stata la statura di quest’uomo, ripercorrendo queste vicende della sua vita professionale ci accorgiamo di come lo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di chiunque altro, cominciò a farlo morire il 1 gennaio del 1988 se non forse ancor prima, con quell’articolo di Leonardo Sciascia sul Corriere della Sera che bollava me come un professionista dell’antimafia e l’amico Leoluca Orlando come professionista dell’antimafia nella politica”.

Erano le ore 16:58 quando una Fiat 126 imbottita di tritolo esplose sotto l’abitazione della madre del giudice Borsellino. Non ci fu scampo per lui e per i cinque agenti di scorta.

19 luglio 1992:il TG annuncia la strage di Via D’amelio

L’agente Antonino Vullo è stato l’unico sopravvissuto alla strage di Via D’Amelio e raccontò la vicenda con le seguenti parole:

“Borsellino e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, mentre io ero rimasto alla guida. Stavo facendo manovra per parcheggiare la vettura che si trovava alla testa del corteo. Non ho sentito alcun rumore, niente di sospetto, assolutamente nulla. Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha scaraventato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto”.

Paolo Borsellino: L’intervista nascosta (completo)

Ancora oggi aspettiamo di conoscere tutta la verità su quella strage, sui mandanti e sulle ragioni di quella condanna a morte. Spariva per sempre senza più essere ritrovata l’agenda rossa del giudice Borsellino contenente tutti i suoi appunti e probabilmente anche le intuizioni riguardo all’assassinio del giudice Falcone.

Sulla scomparsa dell’agenda rossa Salvatore Borsellino, fratello del giudice, ha le idee chiare e afferma:

L’agenda è stata fatta sparire dai servizi deviati e non dalla mafia. Dopo l’attentato, un capitano dei carabinieri si è allontanato con la borsa di Paolo, che poi è stata ritrovata sul sedile posteriore della sua auto, senza l’agenda all’interno.
Secondo il gelataio di Omegna Salvatore Baiardo, che ha protetto la latitanza dei fratelli Graviano, ne sono state fatte addirittura delle copie, date in pegno a uomini della mafia come garanzia. Cosa sarebbe successo se Borsellino avesse svelato che pezzi dello Stato stavano trattando con la Mafia? 
” (da sapere.it)

E sui depistaggi sempre Salvatore Borsellino afferma: ” I depistaggi continuano, e lo dimostra ad esempio, quell’inquinatore di pozzi di Maurizio Avola, che non voglio neppure chiamare collaboratore di giustizia, e sicuramente non può essere chiamato pentito” (da Adnkronos)

SALVATORE BORSELLINO CON I GIOVANI PER SCONFIGGERE LA MAFIA

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