Intervento di Mario Draghi del 18 marzo 2025 alle Commissioni riunite di Bilancio della Camera dei Deputati
C’è un’Europa che rischia di restare indietro. Che si impoverisce, che fatica a innovare, che si scopre fragile sul piano energetico, industriale, militare. E c’è un’Europa che può ancora scegliere di cambiare, di diventare più forte, più unita, più capace di contare nel mondo. È questa la fotografia – e al tempo stesso la visione – che Mario Draghi ha tracciato nel suo recente intervento alle Commissioni riunite di Bilancio della Camera dei Deputati, una lunga riflessione che si trasforma, di fatto, in un manifesto politico per il futuro dell’Unione.
Draghi parte da un dato amaro: negli ultimi quindici anni, il reddito medio degli europei è sceso al 50% di quello degli americani, mentre la produttività e la crescita dei consumi languono. L’Europa, dice l’ex premier, è diventata più povera e meno competitiva. Ma non per destino: per mancanza di strategia, per lentezza decisionale, per incapacità di investire davvero sul proprio potenziale.
Il cuore del problema: la frammentazione
Secondo Draghi, l’Europa oggi è troppo frammentata. Le imprese faticano a crescere oltre i confini nazionali, in particolare nei servizi e nella tecnologia. Le normative cambiano da Stato a Stato, rendendo difficile la vita soprattutto alle piccole imprese. E mentre gli Stati Uniti corrono grazie a un sistema integrato di innovazione e finanziamenti, l’Europa si perde tra mille programmi sparsi, senza massa critica né visione condivisa.
La ricetta di Draghi, allora, è chiara: costruire davvero un mercato unico. Non solo per i beni, ma anche per i servizi, i capitali, la ricerca. Creare regole comuni, ridurre le barriere interne, semplificare. Solo così si potrà liberare l’energia di chi innova e crea lavoro.
La transizione ecologica come opportunità, non come freno
Draghi tocca anche uno dei temi più sensibili del dibattito attuale: la transizione energetica. Non la mette in discussione, anzi. Ricorda che l’Europa ha scelto – e deve continuare – sulla strada della decarbonizzazione. Ma avverte: “Dobbiamo renderla un vantaggio competitivo, non una condanna alla marginalità”.
Il riferimento è chiaro: non basta fissare obiettivi ambiziosi se non si forniscono gli strumenti per raggiungerli. Serve realismo. Servono infrastrutture per l’elettrico, incentivi mirati, filiere industriali autonome. Anche perché – ricorda Draghi – l’Europa non vuole e non può più dipendere da paesi terzi per le proprie forniture energetiche, dopo l’esperienza del gas russo.
Difesa comune: una svolta necessaria
Un altro punto cruciale che emerge dall’intervento è quello della sicurezza. Il mondo è cambiato. Le tensioni globali crescono, gli equilibri si spostano, i rischi aumentano. Per Draghi, l’Europa non può più limitarsi a contare sulla NATO o sugli Stati Uniti. Serve una vera politica di difesa europea, industriale e strategica, capace di rafforzare l’autonomia del continente. Ma questo, inevitabilmente, comporta investimenti enormi. Secondo le stime citate, potrebbero servire oltre 800 miliardi di euro. E Draghi è netto: non tutto può pesare sui singoli Stati. Bisognerà coinvolgere il settore privato, ma anche attivare strumenti comuni come il debito europeo.
Sovranità condivisa: un cambio di paradigma
Un altro tema delicato è quello della sovranità. Draghi lo affronta con chiarezza di idee: “Molti parlano di difendere la sovranità nazionale, ma spesso si tratta di una sovranità che non esiste più. Meglio condividere potere e contare di più, piuttosto che fingere di essere sovrani e restare isolati”.
La sfida, allora, è culturale prima ancora che politica: abituarsi a pensarsi europei, non solo italiani, francesi, tedeschi. E accettare che, su certe decisioni cruciali – come difesa, politica estera, innovazione – sia meglio decidere a maggioranza, e non all’unanimità, per non restare bloccati.
Un’Europa che funziona, non che frena
Draghi lo dice con forza: il tempo delle scelte è adesso. Il mondo corre e l’Europa non può più permettersi di restare a guardare. Serve più velocità, più coesione, più coraggio. E serve una nuova ambizione: rendere l’Unione Europea una potenza civile, industriale e democratica, capace di affrontare le crisi con lucidità e non con l’immobilismo.
Le proposte ci sono: un bilancio europeo più robusto ed efficiente, un mercato unico dei capitali, investimenti strategici nella tecnologia e nell’energia pulita, una difesa comune costruita su basi industriali europee. Ma, soprattutto, è necessario un cambio di passo politico e istituzionale.
Perché – ed è questo il messaggio finale – non è in gioco solo il benessere economico. È in gioco il posto dell’Europa nel mondo.