A meno di due settimane dalle elezioni europee – quando l’astensionismo minaccia di consegnare la guida dell’Europa alle frange più retrive presenti in tutti i paesi – non guasta una riflessione sull’importanza che queste elezioni hanno per i destini del nostro continente. Non a caso qualcuno le definisce le più importanti di sempre.
Per capire il grande rilievo delle istituzioni europee e del ruolo che l’Europa unita può svolgere sia all’interno che a livello globale, è utile richiamare qualche passo del celeberrimo discorso pronunciato nel 1946 a Zurigo da Wiston Churchill.
Paventando il ritorno all’epoca buia dalla quale l’Europa era appena uscita, Churchill auspicò “la ricostruzione della famiglia dei popoli europei, …[dotandola] di una struttura che le permetta di vivere in pace, in sicurezza e in libertà. Dobbiamo creare una specie di Stati Uniti d’Europa”.
È vero che queste lungimiranti parole sono seguite da un elogio del Commonwealth, attraverso il quale il Regno Unito puntava a mantenere una qualche leadership mondiale, ma Churchill era nato e si era formato nell’ultimo quarto dell’Ottocento, all’apice della potenza dell’Impero britannico, e dunque gli si può perdonare questa apparente contraddizione.
Ciò che conta è che ha centrato in pieno l’importanza del ruolo che solo un’Europa Unita può svolgere nell’interesse comune. Non a caso ricorda che “Qui è la fonte della fede cristiana e dell’etica cristiana. Qui è l’origine di gran parte delle culture, delle arti, della filosofia e della scienza, nell’antichità come nei tempi moderni”.
Il ruolo dei cristiani nel gettare le basi dell’Unione Europea, è stato recentemente ricordato da Romano Prodi: “L’Europa è stata creata da tre cattolici che più cattolici non si può: non solo De Gasperi, ma anche Schuman e Adenauer, tutti animati da un’etica comune. L’Europa è nata dal profondo richiamo alla pace che veniva soprattutto dal mondo cattolico.”
Se il richiamo alla pace veniva soprattutto dal mondo cattolico – come dice Prodi e come ci ricorda quotidianamente Papa Francesco, l’unico leader mondiale che non si stanca di condannare la banalità del male di cui la guerra è espressione – non si capisce come mai oggi, per quel che riguarda il nostro Paese, molti politici cattolici italiani sembrano afoni e più che ispirarsi agli appelli alla pace del Papa, sembrano appiattiti sulle posizioni di chi auspica un riarmo incondizionato e parla di scontri di civiltà, in cui da una parte sono tutti buoni e dall’altra tutti cattivi.
Ma questo non è solo un problema dei cattolici di destra, perché anche molti degli esponenti del partito in cui militano i discendenti politici del PCI e della sinistra democristiana, sembrano afflitti dalla stessa miopia.
Che fine hanno fatto le lungimiranti politiche di attenzione verso il mondo arabo e la stessa Russia, attuate dal nostro Paese durante la cosiddetta, tanto deprecata, Prima Repubblica?
Politiche ispirate non solo dai cattolici La Pira, Fanfani e Moro, ma anche dal laico Altiero Spinelli e dal comunista Enrico Berlinguer. Politiche fatte proprie anche da personaggi come Andreotti e Craxi, molto discutibili in altri contesti, ma che in politica estera hanno capito l’importanza del dialogo con le altre culture del Mediterraneo piuttosto che accettare passivamente lo scontro, come molti fanno oggi.
Per questo oggi più che mai è importante votare, sfuggendo alla tentazione dell’astensionismo e scegliendo quei candidati che vogliono la pace e un’Unione più coesa, che sono consapevoli che solo stando uniti i popoli europei possono evitare di sprecare l’immensa eredità “delle culture, delle arti, della filosofia e della scienza”, che ci sono state tramandate dall’antica Atene ad oggi.
Un’eredità che per secoli ha fatto dell’Europa un faro di civiltà, un faro la cui luce è stata solo temporaneamente spenta dalle guerre che periodicamente hanno insanguinato il nostro continente, come sta avvenendo anche oggi.
In questo 2024, come nel 1946, “domina una babele di voci” fra le quali è difficile districarsi. Ma anche noi oggi, dobbiamo sbrigarci, perché “Forse rimane poco tempo”, come avvertiva già allora Churchill. Solo che allora i cannoni avevano smesso di sparare. Oggi che hanno ripreso a tuonare anche in Europa, e troppi leaders politici incautamente auspicano il ricorso alla legge del taglione, invece di operare per la rappacificazione, rischiamo di imboccare una strada senza ritorno per tutti.
Dunque, di fronte al rischio dell’astensionismo, occorre che tutti i cittadini responsabili votino e facciano delle scelte ponderate, per non lasciare che quanto di buono è stato costruito in Europa dopo il 1945, sia vanificato dai nazionalismi e dalla miopia di chi pensa che solo preparando la guerra si possa arrivare alla pace. Si vis pacem, para pacem!