Autore: Vizzini Vittorio Ruderi di Poggioreale Gennaio 2007Autore: Vizzini Vittorio Ruderi di Poggioreale Gennaio 2007

di Lucia Spinella

C’era stata una prima scossa nel pomeriggio, Cecè stava impastando il pane per i suoi tanti figli, tenendo in braccio l’ultima appena arrivata. Era corsa fuori nel piazzale, seguita da tutti i vicini.

«L’avete sentita? C’erano i mobili che tremavano!» disse la donna, terrorizzata.
«Sì, ma non è stata forte! Non è nulla di grave!» la rincuorò un’anziana, sostenuta in coro da altre due vicine. Le donne cercavano di fare stare calma Cecè, perché dovendo allattare, non poteva prendersi di spavento.

L’unico uomo presente cercò a sua volta di sdrammatizzare, per portare calma e conforto. Disse che era già accaduto in passato di sentire qualche piccola scossa, ma tutto si era limitato a quell’unica. Si trattava di assestamenti, nulla di preoccupante. Durante quei discorsi nessuno
pronunciò mai la parola “terremoto”, come se facendolo si rischiasse di provocarlo.

Sempre nel pomeriggio, però, ce ne fu un’altra di scossa. Lucia allora decise di andare, assieme ad altre vicine di casa, in un fienile su una collinetta poco distante il condominio dove lei abitava con i suoi figli.

C’erano famiglie intere che avevano deciso di passare lì la notte. Se ci fosse stata un’altra scossa, sarebbe stato più facile uscire per scappare. Il tetto di canne non faceva paura come il cemento delle palazzine. Nel fienile furono portati tanti tavoli, messi uno dietro l’altro, per formare un’unica lunga
tavolata per tutti.

Si preparò la pasta fatta a  mano e si cucinò in grandi pentoloni. Cotta la pasta, si servì a tavola sopra delle spianatoie di legno a mucchietti copiosi, dove ognuno poteva favorire. Qualcuno, un po’ più lento nel mangiare, il giorno dopo non andò più a pranzare con gli altri.

Per tanti quello fu un modo per superare il terrore che nella notte prese vita, con due forti scosse. Un soffio raggelante annunciò l’arrivo del tremore fatale, del distruttore indomabile. In quel paese non ci furono danni gravi,
per fortuna. Nei paesi più in là nella Valle del Belìce fu una catastrofe.

L’indomani Cecè andò nel forno più vicino per cuocere il suo pane segnato con un’incisione, per distinguerlo da tutte le altre pagnotte portate dai tanti paesani da quel generoso panettiere. Ognuno dava una mano come poteva.

La notte Cecè, assieme ad altri vicini, andò a dormire dentro una fabbrica di laterizi, messa a disposizione dal proprietario. Per gli abitanti di quel borgo i giorni del terremoto del 68 in Sicilia passarono così. Per molti altri non vi fu più un futuro. A chi si salvò, per grazia o per fortuna, fu data, oltre alla vita, la possibilità di riuscire a raccontare quelle giornate di paura condivisa ai posteri, come monito.


LUCIA SPINELLA è nata a Sciacca (AG) e vive a Serravalle Sesia in provincia di Vercelli. Lavora in una ditta tessile. Ama scrivere e tessere parole per raccontare la propria terra d’origine, in particolare Burgio, dove è cresciuta. Il suo primo romanzo s’intitola “Nel cortile di Nenè” ed è stato pubblicato nel 2021 da Land Editore. Prevista per settembre 2022 la pubblicazione del suo secondo romanzo “Fiore d’oleandro”. Entrambi i romanzi sono ambientati in Sicilia.

Terremoto nel Belice (Gibellina) – gennaio 1968
Un pensiero su “IN QUEI GIORNI DI PAURA”
  1. Rivedo nel racconto i vicini di casa dei miei nonni ad Alcamo in provincia di Trapani.
    Con le processioni verso il santuario della Madonna dell’Alto si chiedeva protezione per questa improvvisa sciagura.
    Aiutarsi vicendevolmente era naturale.

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