di Accursio Soldano
Mi chiamo Henriette Vogel, nessuno si ricorda di me e in pochi ricordano il mio amico Heinrich. L’ultima volta che lo vidi fu in una stanza d’albergo, al Gasthof Stimming di Postdam per l’esattezza. C’eravamo andati perché entrambi avevamo deciso di farla finita, e perché nessuno vuole morire da solo.
Lui anni prima si era dedicato al giornalismo ed aveva aperto un quotidiano… uno di quei giornali conservatori che proprio per questo non piacciono a nessuno, il Die Berliner Abendblätter. Già il nome non era facile da pronunciare. E infatti, nel breve tempo di un anno dovette chiudere. E così, a trentaquattro anni si trovò senza lavoro, povero, con la sua testa rotonda come una palla da biliardo da portare a spasso, sempre scuro in volto e triste. Nessuno gli aveva ancora detto che era un grande scrittore e lui non lo seppe mai.
Io invece di anni ne avevo trentuno ed ero malata di cancro. La malattia me l’aveva diagnosticata il mio medico di fiducia, il dottor Benjamin Erhard, mi aveva prescritto delle medicine, è vero, ma come potete immaginare, quando si tratta di un male incurabile come quello, qualsiasi medicina è inutile, serve solo ad alimentare una speranza che non c’è.
Sapevo di stare male e molte volte, presa dallo sconforto, avevo desiderato di morire, ma posso dire che la mia paura più grande non era quella di andarmene da questo mondo, ciò che mi spaventava era il doverlo fare soffrendo. E da sola!
Ricordo ancora il gran freddo che faceva. A novembre a Potsdam si gela. Quando entrai in camera Heinrich mi salutò cordialmente e mi abbracciò, io sorrisi e mi sedetti davanti la scrivania per scrivere un messaggio a mio marito. Volevo che almeno lui si ricordasse di me, perché di chi si ammazza, solitamente non si ricorda nessuno. Anche il mio amico stava scrivendo una lettera, a sua sorella Ulrike. Insomma, la camera non era granché e la scrivania era piena di fogli, tazzine di caffè e bottiglie di rum.
Restammo svegli tutta la notte scrivendo e riscrivendo lettere, brevi messaggi, correggendo, strappando fogli e ricominciando daccapo. Spiegare perché ci si uccide è più difficile che farlo. E ad un certo punto mi parve che qualsiasi cosa avessi scritto in quel momento sarebbe stata fuori luogo. Non riuscivo a mettere assieme le parole adatte, quelle giuste per l’occasione e ogni tanto ci alzavamo per guardare fuori dalla finestra la neve che cadeva.
La mia ultima notte, passata in quella stanza d’albergo fu un fiume di parole senza significato, una serie di frasi sconclusionate, un amore colloquiale impossibile da descrivere. Guardai la neve cadere e chiesi a Heinrich se era veramente convinto, se era sicuro di volerlo fare, ma non rispose e si limitò a sorridere.
La mattina seguente ci svegliammo tardi, non nevicava e c’era un timido sole, scesi nella hall chiedemmo un tavolino e due sedie, abbiamo ordinato del caffè, del vino e poi siamo usciti perché avevamo deciso di recarci su un’altura ai margini della foresta del lago Wannsee.
Facemmo colazione, leggemmo il quotidiano del mattino e seduti attorno al tavolino abbiamo bevuto e riso. Erano all’incirca le quattro del pomeriggio quando Heinrich prese dal cestino due pistole. Il primo colpo fu per me, al petto, poi si sparò in bocca. E solo in quel momento mi resi conto che stavo affrontando la mia morte come la mia più grande fortuna perché da tempo nessuno, quando mi incontrava, mi chiedeva “come va”, se stavo bene, quali erano i miei pensieri. Si limitavano ad osservare credendo di aver capito. Sembra che tutti ci chiedano solo di mostrare il biglietto per essere sicuri di aver pagato il nostro viaggio su questa terra.
E io il mio viaggio l’ho concluso sulle rive del lago Wannsee, in compagnia del mio amico Heinrich, quello che non sapeva di essere un grande scrittore, l’uomo che non rideva mai. Quel giorno fu come se finalmente avessi tirato fuori dalla tasca il biglietto, lo avessi dato al controllore che guardandomi mi disse: Come va la vita? Tutto a posto?
Io mi ricordo di me… ho un bel ricordo di me perché adesso, sono diventata immortale.
ACCURSIO SOLDANO è un giornalista, scrittore e commediografo siciliano. Ha vinto numerosi premi fra i quali il Premio Speciale della Giuria al Parma Music Film, il Primo Premio e Premio della Giuria “Velletri Libris”, il Primo Premio al Concorso Internazionale “Navarro” e il Primo Premio “Teatro Aurelio”. Suoi racconti sono presenti in diverse antologie e in pubblicazioni singole. Ha pubblicato quattro libri, l’ultimo “A viagem in Sicilia de Alberto Caeiro” pubblicato in Portogallo e venduto anche in Brasile e Messico. A breve sarà pubblicato in Italia.link https://accursiosoldano.blogspot.com/