Di Salvatore Azzuppardi Zappalà
L’otto settembre, festa della Madonna Bambina, nella chiesa parrocchiale di Ognina, borgo marinaro alla periferia nord di Catania, si celebra il suggestivo rito della Svelata: il velo che nei giorni precedenti ha ricoperto la statua di Maria, viene tolto, a simboleggiare la nascita, e l’immagine viene, appunto, svelata.
Non sappiamo se anche l’otto settembre 1943, nella città devastata dai bombardamenti e occupata dagli inglesi, si svolse il rito della Svelata.
Sappiamo però che un’altra svelata ebbe luogo in Italia, perché quel giorno fu finalmente svelata alla nazione la pochezza, la miseria morale, la vigliaccheria della famiglia regnante, in primo luogo del re, che dopo la resa agli angloamericani, non seppe fare altro che abbandonare il Paese al suo destino e fuggire.
È normale che il più alto rappresentante di un Paese si sottragga alla cattura, per continuare la lotta contro l’occupante. Ma è per come si svolsero le cose da noi, che non si può parlare che di fuga.
La retorica monarchica ha sempre presentato i re come padri per il loro popolo; ma un padre, di fronte al pericolo, non fugge abbandonando i propri figli. Quando la nave affonda, il comandante è l’ultimo ad abbandonarla.
Invece Vittorio Emanuele III, che il 25 luglio aveva assunto il comando delle forze armate, è stato il primo a scappare, diventando ipso facto un disertore e dando inizio al fuggi fuggi generale scatenatosi fra le truppe lasciate senza guida.
Com’è noto, infatti, la notizia dell’armistizio fra l’Italia e gli angloamericani sconvolse il Paese e diede inizio alla tragedia dello sbandamento dei militari e poi della repressione nazifascista.
L’Armistizio segnò anche il passaggio dall’opposizione mormorata al regime, a quella attiva e da quella data, nella narrazione comune, inizia la lotta di liberazione.
Pochi, però, sanno che non è così: infatti il primo episodio in assoluto di ribellione contro i tedeschi, avvenne prima dell’Armistizio proprio in Sicilia, alle pendici dell’Etna.
Il 3 agosto del ’43 la popolazione intera di Mascalucia insorse contro quelli che erano ancora alleati, ma che cominciavano già a comportarsi da occupanti, razziando mezzi di trasporto e animali.
In questa importante ricorrenza ci sembra giusto rendere omaggio a tutti quei nostri connazionali, giovani e adulti, uomini e donne, combattenti e civili, che affrontarono mille pericoli dopo essere stati abbandonati dalle supreme autorità.
Scrive Mario Tobino, nel suo romanzo Il Clandestino. che quella sera «ogni soldato si sentì sciolto dalle stellette e ritornato cittadino, e allora … tutti seguirono l’unico concetto che ancora era vivo, l’unico rimasto, la famiglia, ritornare ai fondamentali affetti, abbandonare quella falsa e stupida guerra, pensare e provvedere solo a sé stessi e ai propri cari».
Le peripezie che i soldati e i civili che li aiutarono dovettero affrontare sono state magistralmente narrate in tanti libri e film, uno fra tutti il bellissimo “Tutti a casa” di Comencini, con Alberto Sordi.
Nelle settimane successive all’armistizio, scrive ancora Tobino, «i cittadini fecero a gara a vestire di panni civili quei giovani che dovevano sfuggire ai tedeschi, si vuotarono in silenzio i guardaroba, si rivestì un esercito; quei giovani furono nutriti, ospitati, nascosti; ogni casa ricca e povera, di qualsiasi tendenza politica, in quei giorni si aprì. A ogni tappa verso le loro case, i militari sbandati trovarono assistenza».
Fu un’epopea, nota solo a chi l’ha vissuta e ai familiari a cui è stata raccontata, ma che fa parte del patrimonio storico di questo Paese e delle famiglie che lo compongono.
Un’epopea la cui memoria diretta è purtroppo svanita, man mano che coloro che ne furono protagonisti se ne sono andati, ma che è ancora ben viva nella memoria e nel cuore di figli e nipoti a cui è stata raccontata.
Il nostro modo per rendere loro omaggio è riportare alcune delle testimonianze che per anni abbiamo raccolto dalla viva voce di chi quell’epopea ha vissuto. (CONTINUA A LEGGERE QUI)