di Anna Lisa Maugeri
Tina Lagostena Bassi, avvocato, femminista, è stata una delle figure femminili più importanti della storia recente italiana. Conosciuta come l’avvocato delle donne, nata a Milano il 2 giugno del 1926, ha vissuto in pieno l’epoca di rivoluzione culturale e sociale in favore delle donne, meritando certamente di essere ricordata per la sua grande professionalità, per le sue arringhe nei processi per stupro in un’Italia piena di pregiudizi, ma soprattutto per essere stata sempre in prima linea in difesa dei diritti delle donne.
Tina Lagostena Bassi è stata fra le socie fondatrici del Telefono Rosa, creato per dare ascolto e supporto alle donne vittime di violenze. Parliamo di un’epoca difficile per le donne italiane, anni in cui erano molto forti i pregiudizi contro di esse, a tal punto da costringerle a preferire il silenzio difronte a violenze e soprusi.
Le donne vittime di violenze difficilmente denunciavano quanto subito, e anche quando riuscivano a superare i propri timori chiedendo finalmente aiuto e giustizia, diventavano quasi sempre vittime di un’ulteriore e più sconcertante violenza: quella psicologica perpetrata con accanimento attraverso il giudizio popolare precostituito che le riteneva colpevoli di quanto subito, un atteggiamento severo che si palesava dal momento della denuncia arrivando fin dentro le aule dei tribunali.
Erano gli anni in cui poche donne denunciavano una violenza sessuale proprio per evitare di finire alla gogna pubblica e passare dall’essere vittima ad imputata. Basti pensare, ad esempio, che la legge sul diritto d’onore venne abrogato solo nell’agosto del 1981. Fino a quel momento chi uccideva una donna poteva ottenere sconti di pena con un’attenuante aberrante.
Lo Stato italiano mostrava comprensione e quasi giustificava quello che oggi definiamo femminicidio per difendere “l’onore proprio o della famiglia” e se in preda ad uno stato d’ira.
Così, molte donne, mogli, figlie o sorelle, pagavano con la vita le proprie scelte, le proprie “ribellioni” o quelli che all’epoca venivano ritenuti comportamenti inaccettabili; gli uomini, mariti o familiari che si erano macchiati di questo genere di delitto, venivano assolti.
Processo per stupro
Era questo il contesto sociale e culturale nel quale si barcamenavano gli avvocati delle donne durante i processi per stupro. Tina Lagostena Bassi è ricordata per il primo processo trasmesso dalla Rai il 26 aprile del 1979, girato nel Tribunale di Latina ed intitolato Processo per stupro, che vedeva processati quattro uomini per la violenza sessuale di gruppo ai danni di una ragazza di 18 anni.
Ad ideare il documentario e a realizzarlo furono Loredana Rotondo, Rony Daopulo, Paola De Martis, Annabella Miscuglio, Maria Grazia Belmonti, Anna Carini, le quali, a seguito del Convegno Internazionale sulla violenza contro le donne, compresero l’importanza di mostrare all’Italia bigotta e culturalmente misera di allora cosa accadeva nelle aule dei tribunali alle donne che denunciavano stupri e violenza.
Paradossalmente la vittima di stupro veniva additata come unica responsabile della violenza subita, affrontando un’ulteriore violenza morale e psicologica, passando da parte lesa ad imputata. La messa in onda di tale documentario fu fondamentale per aprire un serio dibattito sulle tematiche che riguardavano le donne e la società, si rivelò decisivo per far leva sull’opinione pubblica e per accelerare l’abrogazione della legge sul delitto d’onore. Fino a quel momento, infatti, lo stupro era ancora considerato un “delitto contro la moralità pubblica e il buon costume”.
Ai processi di questo tipo erano spesso presenti i movimenti femministi. Vergognose le parole degli avvocati difensori dei quattro uomini accusati di stupro, la cui tesi difensiva si basava principalmente sul continuo tentativo di infangare la vittima giudicandola una poco di buono.
L’arringa di Tina Lagostena Bassi
Memorabile, invece, l’arringa dell’avvocato Tina Lagostena Bassi con la quale si esprime senza mezzi termini: “ … questo è l’ennesimo processo che io faccio, ed è come al solito la solita difesa che io sento. Vi diranno gli imputati, svolgeranno quella che è la difesa che a grandi linee già abbiamo capito. Io mi auguro di riuscire ad avere la forza di sentirli – non sempre ce l’ho, lo confesso – di avere la forza di sentirli, e di non dovermi vergognare, come donna e come avvocato, per la toga che tutti insieme portiamo.
… perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna, La vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale.
… A nome di Fiorella e a nome di tutte le donne, molte sono, ma l’ora è tarda e noi vogliamo giustizia. E difatti questo io vi chiedo: giustizia. Noi non chiediamo le condanne, non c’interessano. Ma rendete giustizia a Fiorella, e attraverso la vostra sentenza voi renderete giustizia alle donne, a tutte le donne, anche e prima di tutto a quelle che vi sono più vicine, anche a quelle povere donne che per disgrazia loro sono vicine agli imputati. Questa è la giustizia che noi vi chiediamo. Per quanto attiene al risarcimento, già vi ho detto: una lira per Fiorella, questa ragazza così venale, che andava con uomini per soldi, vero?, e sulla quale voi butterete fango, butterete fango a piene mani. Bene, questa ragazza così venale vuole una lira, e vuole la somma ritenuta di giustizia devoluta al Centro contro la violenza sulle donne, perché queste violenze siano sempre meno, perché le donne che hanno il coraggio di rivolgersi alla giustizia siano sempre di più.”
Il Massacro del Circeo
Tina Lagostena Bassi è stata una sorta di angelo delle donne che subivano soprusi e violenze fisiche e psicologiche, che venivano lasciate sole, colpevolizzate, additate come le responsabili della violenza subita.
Difese Donatella Colasanti, sopravvissuta a diciassette anni al Massacro del Circeo, una storia di violenza e sevizie durate 35 ore, che costarono la vita alla diciannovenne Rosaria Lopez, per il quale sono stati processati Angelo Izzo e Gianni Guido, mentre il terzo componente del gruppo, Andrea Ghira, riuscì a sfuggire alla cattura e rendersi per sempre latitante.
Rosaria Lopez, ormai priva di vita, e la sopravvissuta Donatella Colasanti, entrambe nude e ridotte a due maschere di sangue, furono ritrovate nel bagagliaio di una Fiat 127 Bianca in Viale Pola a Roma.
Malgrado la brutale violenza e la testimonianza di Donatella Colasanti, sopravvissuta solo perché si era finta morta, la prima sentenza che condannava all’ergastolo i due autori del massacro, venne ridimensionata successivamente e diminuita.
Angelo Izzo, malgrado vari tentativi di evasione, riuscì persino a godere del rilascio in semilibertà, ma il 28 aprile 2005 Izzo uccise Maria Carmela e sua figlia di 14 anni Valentina Maiorano; oggi sconta l’ergastolo. Gianni Guido, dopo soli 14 anni di carcere, senza aver mai mostrato segni di pentimento per quel massacro, ottenne l’indulto ed è tutt’oggi libero.
Ancora oggi, a volte, sentiamo sentenze vergognose con le quali le violenze sessuali perpetrate sulle donne vengono giustificate, banalizzate o addirittura negate con motivazioni assurde, come quando nel 2017 due ragazzi furono assolti dall’accusa di stupro perché la vittima era troppo “mascolina” per essere oggetto di attenzioni di tipo sessuale, oppure quando nel 1999 un’altra sentenza affermò che indossare i jeans scagiona lo stupratore dalle accuse poiché “l’indumento non è sfilabile senza la fattiva collaborazione di chi lo indossa”.
Continuano, dunque, discriminazioni e pregiudizi dentro e fuori le aule dei tribunali minando ancora oggi la fiducia delle donne nei confronti delle istituzioni. Perciò è necessario e doveroso ricordare Tina Lagostena Bassi, la sua storia che si intreccia agli orribili fatti di cronaca nera italiana degli ultimi decenni del novecento, la sua professionalità, le sue battaglie che hanno determinato concretamente un profondo cambiamento culturale e sociale in un’Italia d’altri tempi ostile alle donne, tempi lontani che non dovranno mai più tornare.
Documentario storico, proiettato per la prima volta nel 1979, che sconvolse l’opinione pubblica. Il “Processo per stupro” fu il primo processo a porte aperte della storia italiana, e l’impatto che ebbe sugli spettatori fu eclatante. Diretto da Loredana Rotondo e proposto per la prima volta nell’aprile del 1979, fu visto da tre milioni e mezzo di spettatori. Venne poi insignito del Premio Italia e quando venne ritrasmesso nell’ottobre dello stesso anno gli spettatori furono invece nove milioni.