Sono passati 40 anni dall’uscita di “The Smiths”, omonimo album d’esordio della band di Manchester composta da Morrissey (voce), Johnny Marr (chitarra), Andy Rourke (basso) e Mike Joyce (batteria).
Il disco, pubblicato dalla Rough Trade Records nel febbraio del 1984, lanciò la carriera della band di Manchester e in poco tempo raggiunse la seconda posizione nella chart degli album più venduti in Inghilterra, rimanendo in classifica per 33 settimane.
Un grande esordio anticipato dal singolo “What Difference Does It Make?” che racconta la fine di un amore in cui il protagonista della canzone viene abbandonato dal partner perché ha paura di conoscere la verità sulla natura sessuale (omosessuale?) dell’amante “Penso di poter contare su di te/ Eppure inizi a indietreggiare/ Le parole pesanti vengono lanciate con tanta leggerezza/comunque salterei davanti ad un proiettile volante per te/ Quindi, che differenza fa?”. Un album che nel 1990, la rivista Rolling Stone ha inserito al 22esimo posto nella lista dei 100 migliori dischi degli anni ottanta. E pensare che le tracce furono incise due volte e malgrado ciò Morrissey dichiarò che l’album “non era abbastanza buono“.
Cinque anni, solo cinque anni di vita, dal 1982 al 1987, anno dello scioglimento della band, ma in questo poco tempo gli Smiths hanno lasciato un segno indelebile nella storia del rock, incidendo quattro dischi: The Smiths (1984), Meat Is Murder (1985), The Queen Is Dead (1986) e Strangeways, Here We Come (1987), uno ogni anno, come se avessero fretta di dire al mondo che c’erano anche loro, una corsa contro il tempo per poter arrivare al 2002 quando un sondaggio condotto dalla rivista NME ha decretato gli Smiths la “band più influente di tutti i tempi”.

Johnny Marr e Morrissey si erano conosciuti a un concerto di Patti Smith e nel 1982 decisero di fondare una band chiamandola con il cognome più comune perché “era ora che la gente comune del mondo mostrasse i propri volti”. Alla band si unirono il batterista Mike Joyce e il bassista Andy Rourke, e sarà questa la formazione degli Smiths fino allo scioglimento del 1987.
Ma non siamo qui a dilungarci su una storia che tutti conoscono, o su una discografia allargata a vari album postumi, live e quant’altro, quello che conta è come quell’album d’esordio non solo ha cambiato la percezione di come dovevano essere le band indipendenti, ma come i testi di Morrissey e la chitarra di Marr hanno cambiato la percezione della vita di chi li ha ascoltati.

E ovviamente anche la mia, che ho iniziato ad ascoltarli dopo aver visto i primi due LP poggiati sulla consolle della radio libera dove lavoravo (Radio Sciacca Terme) mentre Dino Sortino, un giovane conduttore e grande conoscitore di musica li presentava ai radioascoltatori (a volte essere curiosi è una buona cosa). E quella canzone che andava alla radio “What she said” inclusa nel secondo Lp “Meat is murder” suscitò la mia curiosità. Non solo la canzone, ma anche la copertina con la foto di un soldato tratta dal documentario di Emile de Antonio sul coinvolgimento americano nella guerra del Vietnam dal titolo “In the Year of the Pig” del 1968. Nella foto originale il sondato aveva scritto “Make war not love” sull’elmetto.

Ma le canzoni degli Smiths sono molto più di un testo recitato da Morrissey, sono frammenti di vita in cui l’ascoltatore ci si ritrova. Ad iniziare da “Cemetry gates” dove due persone passeggiano all’interno del cimitero guardando le tombe di William Butler Yeats, di Oscar Wilde o di John Keats chiedendosi “tutte quelle vite, dove sono adesso?” o sarebbe più giusto dire, dov’è la poesia? E’ forse morta con loro?
E l’autocommiserazione di “I know it’s over” una canzone che non è cantata, ma recitata, con la voce di Morrissey che segue l’andamento della situazione, l’umore del protagonista che si fa triste, poi speranzoso e infine con la chiara voglia di non farsi crollare il mondo addosso, una canzone (la mia preferita in assoluto) che ha “salvato” molte persone dal rischio depressione. Oppure quella “There is a light that never goes out” che una ragazza, un amore di tanto tempo fa, passando dal trottolino amoroso di Amedeo Minghi a Morrissey mi dedicò: “se un camion da dieci tonnellate ci uccide entrambi, morire al tuo fianco, ebbene il privilegio è mio”. Anche questo è amore.
E giusto per citarne solo alcune, impossibile trascurare “This charming man”, un brano che mostra e dimostra il perfetto affiatamento della band con la chitarra di Marr che vorresti non smettesse mai.
Una band, gli Smiths, che ha suscitato in chi li ha ascoltati e in chi ancora oggi, dopo 40 anni li ascolta, un amore incondizionato. E d’altronde come canta Morrissey in “I Don’t Owe You Anything” “La brava gente ride/ Sì, forse siamo nascosti dagli stracci/ Ma abbiamo qualcosa che loro non avranno mai”.