Trattativa Stato-mafia: in breve tutte le sentenze dal primo grado di giudizio alla sentenza della Corte di Cassazione
Con la sentenza della Corte di Cassazione si chiude una delle vicende giudiziarie italiane più inquietanti del nostro Paese. I processi e le sentenze in merito alla trattativa hanno raccontato e permesso agli italiani di conoscere le dinamiche tra mafia, istituzioni e mondo politico nell’arco di un determinato periodo storico segnato da omicidi eccellenti e stragi.
Rimangono comunque diverse domande senza risposta, la prima fra tutte: l’iniziativa di trattare con la mafia è davvero partita dagli ufficiali del Ros e in particolare da Antonio Subranni? La strategia stragista di Cosa nostra, che ebbe fine nel 1994, è da attribuirsi solo all’arresto dei fratelli Graviano o ci furono altre ragioni ? La lunga latitanza di Matteo Messina Denaro, vissuta tranquillamente nell’ultimo decennio praticamente a casa sua, è il risultato di un accordo tra mafia e parti deviate delle istituzioni, come fu per il boss Bernardo Provenzano, latitante per quarant’anni?
Quanto emerso sino ad oggi sulla trattativa tra Stato e mafia rappresenta solo una piccola verità, parziale ed insufficiente, in merito al movente e ai mandanti delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, come anche delle stragi successive che portarono morte e distruzione oltre i confini siciliani, a Roma, Firenze e Milano.
Altre indagini sulle stragi ed altri processi che seguono filoni diversi saranno utili a ricomporre questo orribile puzzle raffigurante connivenze e verità indicibili. Sarà dovere dei magistrati continuare ad indagare con coraggio e ad ogni costo. E sarà dovere dei cittadini onesti preservare il coraggio della memoria e pretendere verità e giustizia, sempre al fianco dei familiari delle vittime di mafia.
Prima di fare ogni altra considerazione sulla vicenda giudiziaria assai triste e dolorosa che riguarda la trattativa Stato-mafia, ritengo necessario riepilogare, quanto più brevemente possibile, questi anni di processi e sentenze.
TRATTATIVA STATO MAFIA, SENTENZA DI PRIMO GRADO E CONDANNE
Il 20 aprile del 2018 c’è la sentenza di primo grado del processo “Trattativa Stato-mafia”, la Corte d’Assise di Palermo in primo grado condanna:
Leoluca Bagarella, condanna a 28 anni; Antonino Cinà (medico di Totò Riina) condanna a 12 anni. Agli ufficiali del Ros: Antonio Subranni, condanna a 12 anni; Mario Mori, condanna a 12 anni; Giuseppe De Donno, condanna a 8 anni. Per il senatore Marcello Dell’Utri la condanna è di 12 anni.
Tutti giudicati colpevoli e condannati per il “reato di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato”.
REATO DI VIOLENZA O MINACCIA AD UN CORPO POLITICO DELLO STATO. Art. 338 c.p. Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti. Chiunque usa violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, ai singoli componenti o ad una rappresentanza di esso o ad una qualsiasi pubblica autorità costituita in collegio o ai suoi singoli componenti, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l’attività, è punito con la reclusione da uno a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per ottenere, ostacolare o impedire il rilascio o l’adozione di un qualsiasi provvedimento, anche legislativo, ovvero a causa dell’avvenuto rilascio o adozione dello stesso. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità, qualora tali deliberazioni abbiano per oggetto l’organizzazione o l’esecuzione dei servizi.
COSA DICE LA SENTENZA DI PRIMO GRADO
La sentenza di primo grado dice che la Trattativa Stato-mafia c’è stata, che ad idearla è stato l’ufficiale del Ros Antonio Subranni, il quale prese contatti con Vito Ciancimino perché facesse da intermediario tra lo Stato e i vertici di Cosa nostra.
E’ necessario ricordare le motivazioni della sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Palermo, testualmente riportate di seguito:
“Senza l’improvvida iniziativa dei Carabinieri e cioè senza l’apertura al dialogo sollecitata ai vertici mafiosi che ha dato luogo alla minaccia al Governo sotto forma di condizioni per cessare la contrapposizione frontale con lo Stato, la spinta stragista meramente e chiaramente di carattere vendicativo riconducibile alla volontà prevaricatrice di Riina, si sarebbe inevitabilmente esaurita con l’arresto di quest’ultimo già nel 1993. […]
E, invece, al contrario, è stata proprio la constatazione che le stragi del 1992 avevano smosso qualcosa nell’apparentemente granitica fermezza che da qualche tempo, grazie all’impulso incessante di Giovanni Falcone, il Governo della Repubblica aveva manifestato e stava attuando, che ha reso possibile ipotizzare che qualche altro “colpo” (qualche altra strage, quali quelle che poi, furono effettivamente realizzate nel corso del 1993) avrebbe potuto far crollare la resistenza statuale.
Ciò senza tralasciare la sicura accelerazione che fu impressa alla esecuzione dell’omicidio del Dott. Borsellino e di quell’immane strage che, per meri fattori di casualità, fu evitata allo Stadio Olimpico di Roma nel gennaio del 1994.”
LA SENTENZA DELLA CORTE D’ASSISE D’APPELLO DI PALERMO
Il 23 settembre del 2021 la Corte D’Assise d’appello di Palermo ribalta la sentenza.
Ad essere condannati sono solo i mafiosi Leoluca Bagarella e Antonino Cinà con l’accusa di minaccia ad un corpo politico dello Stato.
La Corte d’assise di appello assolve gli ufficiali del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, assolti perché, pur riconoscendo che il fatto è stato commesso, non costituisce reato. La corte d’appello, infatti, conferma quanto riportato nella sentenza di primo grado, ovvero che la trattativa è avvenuta per iniziativa degli ufficiali del Ros e “nel dialogo con Vito Ciancimino ci fu un errore sciagurato di calcolo, ma i militari del Ros agirono con fini solidaristici, per fermare le stragi”. Evidentemente, gli “errori sciagurati” non si pagano, neanche quando provocano morti e incentivano stragi.
Assoluzione, invece, per il fedelissimo di Berlusconi, l’ex senatore Marcello Dell’Utri “per non aver commesso il fatto”.
TRATTATIVA STATO-MAFIA: LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE
Con quest’ultima definitiva sentenza pronunciata il 27 aprile 2023, la Cassazione riqualifica i reati di cui sono accusati gli imputati: non più minaccia ad un corpo politico dello Stato, ma “tentata minaccia”.
La Cassazione dichiara prescritto il reato di tentata minaccia per i mafiosi Leoluca Bagarella e Antonino Cinà (poiché trascorsi ormai 22 anni dalla consumazione del reato) ed assolve tutti gli altri imputati, ovvero gli ufficiali del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, “negando ogni ipotesi di concorso nel reato tentato di minaccia a corpo politico”.
Gli uomini dello Stato imputati sono assolti non più con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, ma per non aver commesso il fatto. Ricordiamo che attendiamo ancora di leggere le motivazioni di tale sentenza.
“La Corte di assise di appello di Palermo ha riconosciuto che negli anni 1992-1994 i vertici di “cosa nostra” cercarono di condizionare con minacce i Governi della Repubblica italiana (Governi Amato, Ciampi e Berlusconi), prospettando la prosecuzione dell’attività stragista se non fossero intervenute modifiche nel trattamento penitenziario per i condannati per reati di mafia ed altre misure in favore dell’associazione criminosa“.
VERITA’ GIURIDICA, VERITA’ STORICA: LA TRATTATIVA C’E’ STATA
La trattativa Stato-mafia è stata ideata ed attuata. Lo dicono chiaramente le sentenze, lo ammettono gli stessi imputati e nessuna sentenza, da quella di primo grado a quest’ultima emessa dalla Cassazione, afferma il contrario.
Un patto vero e proprio tra Stato e mafia, una segreta alleanza tra mafia, politica ed ufficiali dello Stato.
La trattativa prevedeva delle concessioni a Cosa nostra da parte dello Stato: alleggerire il 41 bis, modificare alcune leggi riguardanti il carcere duro. In cambio lo Stato italiano avrebbe ottenuto la fine delle stragi e la vita salva di esponenti politici nel mirino della mafia dopo l’omicidio di Salvo Lima.
Come la storia dimostra, però, le stragi nel nostro Paese non cessarono, anzi, altre bombe furono piazzate e fatte esplodere anche oltre i confini siciliani costando la vita ad altre vittime innocenti.
E’ necessario anche ricordare la mancata perquisizione del covo di Totò Riina con tanto di disattivazione delle telecamere di video sorveglianza, un fatto grave e che rappresenta da parte degli ufficiali del Ros un esplicito “segnale di buona volontà e di disponibilità a proseguire sulla via del dialogo alla fazione moderata capeggiata da Provenzano”.
E SE LA TRATTATIVA FOSSE ANDATA “A BUON FINE”?
Basandoci su quanto è emerso dai processi e sulle sentenze, possiamo fare una piccola riflessione. C’è un dettaglio che rende il “piano” degli ufficiali del Ros deplorevole e che costringe ad interrogarsi sulle ripercussioni che questa trattativa tra Stato e mafia avrebbe avuto sul Paese ed i cittadini.
Gli ufficiali sapevano bene che all’interno di Cosa nostra vi erano due fazioni in contrapposizione; quella di Totò Riina, più violenta e determinata a voler perseguire la strategia stragista, e l’altra di Bernardo Provenzano considerata più “moderata”, la quale prediligeva la strategia della sommersione al fine di gestire meglio gli affari di mafia senza fare troppo rumore.
Ed è questa contrapposizione di vedute in merito alla modalità d’azione dell’organizzazione criminale mafiosa a far ritenere agli ufficiali del Ros che il boss Provenzano al comando di Cosa nostra avrebbe potuto garantire una convivenza pacifica tra Stato e mafia.
Ma uno Stato che agevola una fazione mafiosa consegna di fatto il Paese ed i suoi cittadini nelle mani della criminalità organizzata. Quale sarebbe stato il lieto fine per i siciliani, ancor prima che per tutti gli italiani, se questa trattativa segreta avesse avuto buon esito?
Quando parliamo di mafia parliamo di coloro che uccidono la dignità di un’intera comunità. Lo fanno attraverso la prevaricazione, la violenza, estorcendo denaro agli imprenditori e ai commercianti. Lo fanno appropriandosi di intere zone delle nostre città, seminando morte con il traffico di droga, inquinando l’economia con il riciclaggio di denaro sporco, con lo scambio elettorale politico-mafioso, piazzando ai vertici della pubblica amministrazione i loro “rappresentanti”, che sia a livello locale, provinciale o nazionale, “amici” che sapranno poi usare il proprio potere per dimostrare riconoscenza e devozione.
Sono tutti reati che incidono concretamente sulla qualità della vita dei cittadini, rendendo schiavi del malaffare e dell’ingiustizia un intero Paese.
Uno Stato che sigla un accordo segreto con la criminalità organizzata assicurando ad essa una certa tolleranza per gli affari sporchi che amministra, può poi accogliere le denunce di cittadini onesti vessati dagli stessi mafiosi?
Dopo questa sentenza che ritiene non sia un reato quella “improvvida” iniziativa di porre le basi per una convivenza pacifica tra Stato e criminalità, cos’altro potrà non essere considerato reato?
LA TRATTATIVA STATO-MAFIA E I “NO-TRATTATIVA” DELL’INFORMAZIONE
Alcuni giornali e giornalisti che titolano i loro pezzi con “la bufala della trattativa” o “la trattativa inesistente” esultano come se ad essere assolti fossero stati loro.
In una società sempre meno avvezza all’approfondimento, per mancanza di tempo o a causa della complessità degli argomenti in questione, basta un titolo di giornale per condizionare l’opinione pubblica.
Dopo la sentenza della Cassazione è ripartito il circo mediatico per screditare i magistrati che hanno lavorato per anni sulla trattativa Stato-mafia ed i pochi giornalisti che hanno tenuto accesi i riflettori sui processi. Quando fu pronunciata la sentenza di primo grado che condannava tutti per la trattativa, la notizia passò in sordina.
Ciò sta ad indicare che una certa parte dei media e della stampa (troppo coinvolta perché vicina ad esponenti politici e personaggi influenti con “frequentazioni particolari” in odor di mafia) non hanno alcun interesse nell’informare i cittadini, ma hanno l’unico dovere di raccontare la storia nella versione che è più gradita ai propri amici e padroni.
L’esultanza dei “no-trattativa” fra poco si affievolirà per far sì che tutto finisca presto nel dimenticatoio. Questo perché i processi raccontano chiaramente i fatti attraverso le dichiarazioni degli stessi imputati, le testimonianze e le intercettazioni. Quindi meglio che non se ne parli più e che a nessuno venga la curiosità di andare a rileggere un po’ di scartoffie.
Di mafia e di processi di mafia se ne sono occupati in Italia pochi giornali e giornalisti, sempre gli stessi, ed è fortunatamente grazie a loro, oltre che ai magistrati, che questo genere di argomenti trova ancora oggi spazio, offrendo al Paese occasioni per conoscere tali vicende da un punto di vista storico e giudiziario, ma soprattutto rendendo possibile il dibattito pubblico su queste tematiche. Resta ancora molto da sapere, per quanto con il passare del tempo sarà sempre più difficile avvicinarsi alla verità, in assenza di uno o più pentiti di Stato.