INTERVISTA ALL’ARTISTA SALIM ASSI
Sicilia Buona intervista SALIM ASSI, artista e autore di opere d’arte che parlano di diritti umani, pace e libertà. Originario del Libano, da anni vive a Copenaghen in Danimarca. Da lì continua a battersi in difesa dei diritti del popolo palestinese e lo fa pacificamente, utilizzando l’arte, potente strumento di comunicazione e resistenza.
Così Salim Assi parla al mondo e a tutti quei Paesi troppo spesso distratti, indifferenti al dolore di chi vive da decenni il dramma di un conflitto che sembra senza fine. Il suo messaggio è rivolto a tutti, senza confini geografici e culturali. Una delle recenti opere di Salim Assi è il murale realizzato a Copenaghen, diventato virale sui social in pochi giorni, di grande impatto e molto eloquente.
D: Anzitutto raccontiamo di te ai lettori italiani: chi è Salim Assi?
R: Sono originariamente un rifugiato palestinese, nato a Wavel Camp nel nord-est del Libano. Sono un artista, mi sono trasferito in Danimarca nel 1992, vivo a Copenaghen e ho la cittadinanza danese. Prima di parlare della mia arte, lasciami fare un passo indietro nella mia vita, il mio passato è ciò che mi ha reso artista.
Sono uno tra i milioni di palestinesi che hanno subito una vita instabile a tutti i livelli: la guerra, la povertà, le difficoltà, l’angoscia, il dolore, la brutta guerra civile, ecc. Avevamo meno diritti, meno opportunità, meno rispetto, ecc. Non ho vissuto una vita equa come tutti gli altri umani. I governi, le Nazioni Unite e le organizzazioni sono incuranti del dolore dei palestinesi che ancora soffrono per tutto ciò che ho menzionato. (I palestinesi vivono ancora le stesse condizioni dal 1948, quando i sionisti invasero la Palestina e la occuparono con il sostegno dell’Inghilterra).
La vita ingiusta (il mio passato) mi ha spinto ad esprimere ciò che ho provato e che provo ancora dopo essere stato coinvolto e colpito dalla dura vita di rifugiato.
Ho scelto di esprimere il mio/nostro dolore usando colori e penne fin da quando ero un ragazzino. In breve, la mia sofferenza mi ha reso un artista. Creatività nata dall’addome della sofferenza.
D: Sei nato e cresciuto in Libano. Quando e perché hai lasciato il tuo Paese di origine?
R: Non è stata una scelta libera lasciare il Libano, così come non è stata la scelta dei miei genitori e dei miei nonni lasciare la Palestina. Sono stati obbligati a trasferirsi dalla Palestina al Libano a causa dell’invasione israeliana e l’occupazione della Palestina. Anche io sono stato obbligato a trasferirmi dal Libano alla Danimarca a causa di tutto ciò che ho raccontato sopra, della vita nel campo profughi, il 4° grado umano.
D: Vivi in Danimarca dal 1992. Com’è oggi la tua vita lì?
R: Non c’è dubbio sulla grande differenza tra i due paesi. Qui, in Danimarca, mi sento meglio, ho dei diritti, vivo in sicurezza, libertà di parola e di opinione. Almeno mi sento un essere umano, anche se mi sento un essere umano di 2° grado a causa dei nuovi fenomeni di discriminazione che da più di dieci anni hanno operato i politici di estrema destra, attraverso le loro dichiarazioni politiche e proposte legislative che discriminano i cittadini a seconda dei colori, delle culture e delle convinzioni.
D: Quali sono le caratteristiche fondamentali delle tue opere?
R: Le mie opere d’arte portano messaggi. Le questioni affrontate possono essere politiche, sociali o culturali, ma vado più verso le questioni politiche, perché tutte le altre cose sono legate alla politica. La politica era ed è tuttora la ragione principale della brutta vita che ho vissuto, quindi sento il bisogno di esprimere con i colori le ragioni che hanno portato me e tutti i palestinesi a quella vita. Il motivo principale è chiaro, è l’occupazione israeliana della mia patria. Da qui il mio slogan (Art of Resistance) dove si concentrano i lavori per mostrare i crimini israeliani in 74 anni, mentre il mondo tace su bombardamenti, arresti, esplosioni, distruzione, furti ecc. Ho bisogno di metterlo in evidenza davanti al mondo a doppio standard. Uso diverse superfici e materiali, a volte faccio graffiti sui muri, altre volte dipingo su tela o disegno un cartone animato, dipende dal soggetto.
D: La tua arte è un mix fra disegno e poesia, immagine e parola?
R: È vero, usavo tutti i miei strumenti e risorse, dal pennello alla penna al microfono per recitare su un palco. I palestinesi provano dolore, quindi devo gridare forte, per indicare il mio dolore con poesie, prose, immagini, dipinti e tutte le altre cose disponibili in cui posso spiegare che i palestinesi contano e raccontare il loro dolore, si spera che il mondo ascolti e se ne occupi.
D: Possiamo definirla “arte della resistenza”?
R: Sicuramente è arte della resistenza, il modo per mostrare la verità e comunicarla chiaramente. Siamo rifugiati e viviamo questa condizione, è una questione evidente, dovrebbe essere trattata immediatamente.
Diversamente, mi piacerebbe dipingere una vista della natura o dei panorami romantici e tranquilli. Vorrei dipingere un albero, una candela, una chitarra e una farfalla su un fiore, come fanno molti altri artisti che vivono tranquillamente nelle loro terre senza dolore né affanni.
D: L’arte oggi può essere azione politica?
R: Credo che l’arte sia il modo più semplice e veloce per spiegare cosa e come va in politica. L’arte è la via che può togliere la maschera che indossano i politici. È un elemento che può mostrare ciò che accade dietro il palcoscenico, può mostrare il lato nascosto del gioco politico e dei suoi attori.
Quindi l’opera d’arte gioca un ruolo importante nella politica non meno del ruolo dei media. È più efficace degli articoli scritti e dei report. Con poche righe o con poche macchie di colore un artista visivo può chiarire un caso politico in un modo semplice e breve in modo che tutti possono capirlo in pochi secondi, senza la necessità di una traduzione. Le opere a fumetti dell’artista palestinese Naji Al Ali ne sono un esempio.
D: Tu parli di diritti umani, pace e libertà attraverso le tue opere. Possiamo considerare l’arte una lingua universale con la quale superare barriere geografiche e culturali, ma ti è mai successo di essere frainteso o giudicato negativamente per i tuoi dipinti?
R: È vero, mi piace che siano le vittime a parlare di diritti umani, noi vittime li reclamiamo e speriamo di averne almeno una parte, fintanto che le nazioni sociali non ci riconosceranno – da palestinesi – tutti i diritti. Lo stesso per la pace e la libertà, dipingo di questi due soggetti come un augurio, una speranza, perché noi palestinesi non li abbiamo praticati e nemmeno sentiti. È avvicinarsi al sogno di ottenere la libertà e di vivere pacificamente come tutte le altre nazioni. Alcuni dei miei dipinti sono stati giudicati negativamente solo perché ho alzato i toni, rifiutando l’occupazione e chiedendo la liberazione della Palestina.
D: Oggi gli occhi del mondo sono puntati sulla guerra in Ucraina, tutti dimostrano grande solidarietà verso il popolo ucraino e vogliono mostrare di aiutare concretamente la popolazione in difficoltà. La solidarietà è un valore importante, ma altri conflitti nel mondo non hanno la stessa attenzione. Perché?
R: Innanzitutto, spero che la guerra in Ucraina finisca immediatamente. Le vittime civili e i rifugiati pagano sempre il prezzo più alto in qualsiasi guerra. Prego per loro, i miei pensieri dal profondo del cuore vanno a loro. Spero che presto tornino alle loro case e sentano una pace stabile. È una cosa stupenda quando le persone aiutano gli altri bisognosi, tutti apprezziamo un tale senso di umanità. Ma quando i politici dei governi, coloro che decidono, le autorità maestose nei governi come negli Stati Uniti e in Europa, quando chiamano le nazioni del mondo a sostenere un paese senza fare attenzione ad altri paesi come Palestina, Irak, Yemen, Siria, Libia, Afghanistan, significa che sono a doppio standard, vedono solo con un occhio. Questo impressiona, è una sensazione troppo brutta il fatto che non ci sia considerazione per le altre vittime che non sono europee.
D: Qual è oggi la situazione in Palestina?
R: È come chiedere a una farfalla durante una tempesta, come ti senti adesso? La risposta è: va molto male, come al solito, visto che la scorsa settimana sono stati zittiti cinque civili palestinesi, l’ultimo ieri era un ragazzo di 17 anni. Impediscono a molte persone di entrare ai cancelli di Al-Aqsa. Mettono le mani su alcune aree e rimuovono alcuni degli ulivi. Attaccano i proprietari di case a Silwan an Shekh Jarrah e spingendoli con la forza ad andarsene. Alcune case nelle due zone sono state distrutte. L’espansione delle colonie non si ferma mai. L’apartheid è ancora forte e la gente ha bisogno di respirare. Gaza è ancora la prigione più grande del mondo.
D: Recentemente hai realizzato un murale a Copenaghen, in Danimarca, immagine diventata virale sui social …
R: Il murale è lungo circa 6 metri e alto 4 metri. L’immagine del murale è stata diffusa sui social media in tutto il mondo e la gente ne ha parlato positivamente in molte lingue dimostrando solidarietà anche con la Palestina. Dico grazie a tutti coloro che hanno mostrato solidarietà e un grande grazie a Sicilia Buona e agli italiani. A proposito, non dimentichiamo la grande giornata estiva in cui l’Italia vinse il mondiale del 1982 dedicando la coppa ai palestinesi, solidali con loro. Viva l’Italia!
D: Qual è il messaggio che vuoi lanciare attraverso la tua arte e a chi è rivolto questo messaggio?
R: Il messaggio è chiaro a tutti, parla del mondo a doppio standard che chiama a sostenere l’Ucraina, e questo non ci dispiace, ma contestiamo l’ignoranza mondiale riguardo altri paesi come la Palestina. Il murale ha tolto la maschera alla politica internazionale e ne mostra la brutta faccia.
Devono essere leali, aprire entrambi gli occhi e reagire allo stesso modo nei confronti di tutti i paesi, indipendentemente dalla posizione geografica, dal colore o dalla religione. Il mio messaggio al popolo libero in tutto il mondo: non dimenticate la Palestina, è occupata da 74 anni e noi siamo rifugiati che vivono la controversia più grande della storia. Siate con noi per la Palestina libera.
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