Conosco Raimondo Moncada da una vita. Ci siamo incontrati molte volte nella provincia di Agrigento, negli spettacoli, nelle presentazioni di libri, in Tv a Teleacras. Ogni volta è stato un piacere confrontarci su diversi temi: musica, cinema, spettacolo, letteratura e qualche volta anche di politica. Ad un certo momento per ragioni di lavoro ci siamo allontanati lui a Sciacca ed io a Palermo. Da qualche mese Raimondo ha dato alle stampe un libro meraviglioso su Pietro Germi dal titolo Gli anni felici in Sicilia. L’ho letto con gioia ed ho voluto recensirlo ponendo alcune domande all’Autore che con questo lavoro mi ha reso felice.
Il regista genovese Pietro Germi è stato considerato un timido, un lupo solitario, un uomo irrequieto incapace di comunicare dai critici. Sono affermazioni esagerate che non mi trovano affatto d’accordo, smentite decisamente dai dialoghi dei suoi film pieni di una umanità e saggezza. (Il ferroviere, L’uomo di paglia, Il cammino della speranza).

Il libro di Raimondo Moncada dal titolo Pietro Germi. Gli anni felici in Sicilia è una sorta di un viaggio magico nella Sicilia del grande Cinema d’Autore. Ricco di notizie inedite, di splendide foto e di una ricca bibliografia, frutto di anni di studi e di ricerche. E’ un libro storico. Il volume fa scoprire molte curiosità legate ai registi Federico Fellini e Alessandro Blasetti apripista, del cinema girato in Sicilia. Beniamino Biondi critico cinematografico, nella prefazione di questo splendido libro, che andrebbe catalogato in tutte le biblioteche italiane, afferma: ” Intellettuali raffinati come Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia non hanno capito l’opera di Germi. Il grande regista genovese innamorato della Sicilia fu isolato da vivo e dimenticato da morto e poi a lungo rimosso, fino ad oggi, ed ancora prosegue Biondi, Il libro di Raimondo Moncada rende giustizia e rimette Germi al suo giusto posto, restituendo il riconoscimento che merita. La Sicilia è una terra fatta di “maschere intellettuali”. La Sicilia di Germi si presta alle rappresentazioni più vive sia in senso drammatico che in senso grottesco. Germi ha raccontato l’identità di un popolo nel silenzio delle campagne. Per comprendere meglio questa terra bisogna vedere i suoi film. Il libro di Moncada ha il dono di colmare un vuoto sugli studi del regista genovese. Da un’attenta lettura viene fuori, che a Sciacca è ancora vivo il culto per Germi, alcuni appassionati di Cinema possiedono materiali preziosi sulla storia del cinema italiano. Ma andiamo ad ascoltare e conoscere Raimondo Moncada più da vicino.
Intervista a Raimondo Moncada
D: Il tuo libro racconta una Sicilia plurale, è un chiaro riferimento allo scrittore Gesualdo Bufalino?
R: Pietro Germi descrive nel suo cinema siciliano L’isola plurale di Gesualdo Bufalino. Lo cito già nell’introduzione. Il regista genovese racconta non una ma tante Sicilie, innamorandosi alla fine di una terra che, per citare Bufalino, si inventa “i giorni come momenti di perpetuo teatro, farsa, tragedia o melodramma”.
D: Come hai condotto le ricerche del tuo libro?
R: Nasce dentro un percorso di cura oncologica e come sviluppo di una tesi di laurea. La colpa è di mia moglie Lucia che durante il mio soggiorno a Bologna, mi ha fatto iscrivere a un corso universitario online in Comunicazione per distrarmi da brutti pensieri. Con Germi mi sono più che distratto, mi sono appassionato, leggendo testi ovunque, libri e riviste d’epoca trovati nelle biblioteche di Bologna (e nella sua fornitissima cineteca), di Palermo, di Sciacca, di Menfi, avvicinando testimoni diretti e voci autorevoli. Alla fine del libro riporto una nutritissima bibliografia. Ho anche contattato un importante saggista come Orio Caldiron che ha avuto l’umiltà di dare ascolto a uno sconosciuto. Ho cercato Germi ovunque, ho seguito il suo sentimento, ripercorrendo i suoi passi anche fisici nei vicoli e nelle piazze di Sciacca. La tesi mi ha fatto laureare il giorno dopo l’uscita dal mio secondo ricovero, nel marzo 2024, il libro è uscito un anno dopo.
D: Puoi commentare questa frase: “Il cinema si interessa della Sicilia perché la Sicilia è cinema” affermò Leonardo Sciascia rispondendo a una domanda del giornalista Mario di Caro sul quotidiano La Repubblica…
R: La Sicilia è cinema per i suoi paesaggi unici, per la sua storia e per le storie di ogni singolo siciliano come noi, che hanno ispirato letterati premi Nobel e grandi cineasti. Non si spiegherebbe altrimenti la concentrazione nella nostra terra di tanti scrittori. Solo dalle nostre parti, nello spazio di pochi chilometri, sono nati Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Antonio Russello e Andrea Camilleri. E se guardiamo ai nostri giorni come non citare Gaetano Savatteri e Carmelo Sardo. E in Sicilia sono scesi non a caso maestri del cinema come Luchino Visconti, I fratelli Taviani, Pier Paolo Pasolini, Francesco Rosi, Roberto Rossellini e tanti altri.
D: Pietro Germi è venuto in Sicilia 5 volte, quando scatta l’amore per l’isola?
R: È una delle domande da cui è partita la mia ricerca. Mi sono proprio detto: ma che è venuto a fare un uomo del Nord, un regista della lontanissima Genova, nell’estremo Sud d’Italia? E perché dopo la sua prima volta, nel 1948 a Sciacca, è ritornato altre quattro volte? Le risposte le ho trovate e le ho scritte e hanno dato anche il sottotitolo al libro “Gli anni felici in Sicilia”. Lo dice lui stesso, anche nella sua ultima intervista pubblicata postuma dopo la sua morte. L’innamoramento avviene a Roma scrivendo la sceneggiatura del film In nome della legge e si completa, come in una folgorazione, quando mette piede a Sciacca. Un innamoramento che poi, di film in film, si trasforma in un amore eterno e grato.
D: Hai scritto che Pietro Germi è un regista unico e irripetibile che passa con mano leggera dalla commedia al dramma…
R: Non lo dico io, ma fior di studiosi, estimatori, attori, registi. È stato capace di passare dal pianto al riso, dal dramma di film come In nome della legge e Il cammino della speranza alla commedia di film come Divorzio all’Italiana e Sedotta e abbandonata. Una autentica rivoluzione del suo cinema, due vette raggiunte guarda caso in Sicilia. Una svolta quella della commedia che ha sorpreso i suoi amici, i suoi più stretti collaboratori. Non ci avrebbero scommesso una lira che un uomo così chiuso, così anche riservato, anche muto, potesse far ridere e non di una risata fine a se stessa. Le sue commedie seguono il filone del cinema di denuncia, prima contro la mafia, l’emarginazione e la povertà del Sud, poi contro mentalità, culture, codici penali arretrati.
D: La via di fuga da Genova per Germi non è il mare ma il cinema?
R: Il sogno iniziale dell’adolescente Germi è il mare, da buon genovese. E frequenta infatti il locale istituto nautico che però non completa. Fugge da quegli studi, dalla sua città per inseguire un altro sogno, quello di raccontare storie per aprirsi, lui ragazzo timido, al mondo. E bussa al Centro sperimentale di cinematografia di Roma…
D: Perché Germi non ammette di essere un regista neorealista?
R: Lui si forma in quel periodo, in pieno neorealismo. Viene inevitabilmente influenzato da quell’onda che si alza alta e fresca ed effervescente e piena di libertà dopo la fine della Seconda guerra mondiale e del regime fascista. Ma al suo animo ribelle stanno strette le classificazioni. A lui piace sperimentare nuovi linguaggi, nuove tecniche, andare oltre gli schemi, scoprirsi film dopo film. Non dimentichiamo che il suo primo film siciliano di grandissimo successo, In nome della legge, è fortemente influenzato dal cinema americano.
D: E’ il primo cineasta che affronta i temi dell’emigrazione, della povertà, della mafia con una lente nuova?
R: È un cineasta che pone con forza questi temi, con storie forti, con emozioni forti. E lo fa da non siciliano, vedendo quello che i siciliani non vedono o non vogliono vedere, denunciando ciò che altri non denunciano, per cambiare le cose non solo per fare spettacolo. Germi si prende a cuore la Sicilia e pone una sua questione meridionale. E per i siciliani diventa uno specchio per guardarsi negli occhi di un forestiero che non è venuto per farci del male o per prenderci in giro, ma rivelarci a noi stessi.
D: Perché il finale del nome della legge viene aspramente contestato dalla critica, qualcuno ha scritto che era un finale da western americano, i critici lo criticavano, ma le sale sono affollate, non è un paradosso?
R: C’è chi, come Leonardo Sciascia, è spietato nel giudizio. Boccia il film In nome della legge. Come se Pietro Germi fosse accomodante con la mafia. Ma non è così. Bisogna innanzitutto contestualizzare il film nel tempo quando è stata scritta la sceneggiatura, e nel tempo (ancor prima) quando è stato scritto il libro del magistrato palermitano Giuseppe Guido Lo Schiavo, Piccola pretura, da cui gli sceneggiatori tra cui Germi si sono ispirati. Pietro Germi spiega in un’intervista le sue motivazioni rispondendo ai critici e a due interrogazioni parlamentari che avevano definito il film «immondo, bugiardo e calunnioso». Il successo di pubblico e i tanti premi ricevuti si scontrano con una critica da cui Germi si è sentito per l’intera esistenza maltrattato.
D: Qualche critico considera Pietro Germi il padre della commedia all’italiana, sei d’accordo?
R: Pietro Germi è uno straordinario autore inserito anche in quello che è considerato un genere conosciuto in tutto il mondo e che ha coniato il nome, “Commedia all’italiana”, dal suo film Divorzio all’italiana. In quegli anni ci sono stati anche altri importanti registi.
D: L’ironia è l’arma graffiante di Germi per riflettere sul divorzio e sul matrimonio riparatore…
R: Alla commedia arriva gradualmente, dopo i drammi, i melodrammi e i polizieschi. Pensa che gli sceneggiatori di Divorzio all’italiana avevano pensato all’inizio di farne un dramma. Poi si sono accorti, scrivendo, che la storia di per sé, con il suo carico drammatico, faceva ridere. È lì che avviene la svolta del suo cinema, con l’inserimento dell’ironia, della satira, del grottesco, per porre delle questioni socialmente e politicamente rilevanti per ottenere la cancellazione dal codice penale dell’articolo che perdonava chi si macchiava di delitto d’onore e dell’articolo che consentiva il matrimonio riparatore come perdono di chi usava violenza carnale nei confronti di una minorenne.
D: Quanto c’è di vero nella storia di Fellini che ritorna dalla Libia e propone a Germi le location per i suoi film, di cui è anche sceneggiatore?
R: Lo dicono importanti studiosi e biografi dello stesso Federico Fellini. Germi è sbarcato da Genova a Sciacca grazie al regista de La dolce vita ma anche alla frequentazione di altri artisti. Ne parlo nel libro andando alla ricerca proprio delle motivazioni che hanno spinto Germi a raggiungere la Sicilia, a girare nell’isola inizialmente pellicole tratte da opere di autori siciliani e poi ispirate alla cruda cronaca.
D: Non sapevo del contrasto sul finale del Cammino della speranza che avrebbe voluto Fellini, un finale senza lieto fine con gli emigranti siciliani clandestini rimandati a casa una volta arrivati al confine con la Francia, Germi impone un altro finale con la sua voce fuori campo… «Perché i confini sono tracciati sulle carte, ma sulla terra come Dio la fece, per quanto si percorrano i mari, per quanto si cerchi e si frughi lungo il corso dei fiumi e lungo il crinale delle montagne, non ci sono confini, su questa terra».
R: C’è stato proprio un diverbio tra autori che la pensano in maniera diversa. Non si sono però presi a pugni. C’è stata un’accesa discussione tra sceneggiatori. Fellini avrebbe voluto un finale diametralmente opposto a quello che proponeva Germi. Non un finale a lieto fine, un finale che lasciasse l’amaro in bocca, con gli emigrati che dopo aver attraversato l’intera Italia, dopo aver a fatica superato tante traversie, proprio al traguardo non riuscivano a oltrepassare il confine. Si è impostala soluzione di Germi, come un atto di speranza.
D: Germi denuncia un sud senza giustizia, con scarse speranze e in mano alla mafia. Alla stampa dichiara: “Mi interesso della Sicilia perché il sud è ancora il più grosso problema italiano…”
R: Pietro Germi dice chiaramente come stanno le cose, con un Nord ricco e in pieno sviluppo e un Sud che arranca, che si impoverisce anche delle sue braccia, dei suoi cervelli, dei suoi uomini costretti a emigrare altrove e a rompere le famiglie. La mia stessa famiglia ha conosciuto questo dramma. E Germi pone non solo la questione ma dichiara anche il proprio personale impegno per cambiare le cose tramite l’arma che meglio sapeva maneggiare: i film.
D: E’ vero che il titolo del Cammino della speranza doveva essere terroni?
R: Proprio così. Ma come è accaduto anche per Sedotta e abbandonata, il titolo iniziale è stato cambiato. Terroni era troppo d’impatto, violento e avrebbe potuto provocare una reazione non voluta, avrebbe potuto offendere la sensibilità dei siciliani. Ma non era questa la finalità del regista che ha preferito cancellarlo.
D: Possiamo dire che Pietro Germi è stato un femminista da parte dei diritti delle donne, ad un certo punto del libro ho letto: “Può esserci in Italia una cosa più assurda del delitto d’onore”?
R: Si può dire. È stato anche dalla parte delle donne, denunciando con l’esagerazione, la caricatura, l’ironia, il maschilismo dell’epoca. Nelle sue commedie ci sono donne che osano ribellarsi.
D: Cosa intendi dire con l’espressione la Sicilia è la carta vincente per il cinema?
R: Perché la Sicilia è cinema. Nell’isola, come Pietro Germi, trovi il tragico e il comico, e ogni tipo di palcoscenico per girare qualsiasi tipo di film.
D: Cosa contiene il taccuino segreto di Germi?
R: È il suo diario, dove appuntava date di eventi importanti, con le sue impressioni, il suo stato d’animo del momento. Vi si legge, ad esempio, la nascita del film In nome della legge, e i suoi primi passi a Roma e poi i suoi primi passi in Sicilia. Una miniera di elementi preziosi per conoscere ancor di più l’artista e l’uomo, con le sue timidezze, paure ed emozioni.
D: La Sicilia di Germi è una Repubblica nella Repubblica, tragica, comica prodiga, avara, è un’isola che reclama giustizia legata ad una vecchia tradizione musulmana…
R: È un’isola che reclama ancora giustizia. Oggi non ci sono più i minatori che occupavano le miniere a centinaia di metri di profondità per poi essere costretti a lasciare la propria terra per trovare una speranza di vita nel Nord Italia, in Belgio, in Francia, in America. Allora c’erano quegli emigrati poveri, analfabeti. Oggi ci sono i nostri figli laureati costretti sempre a cercare fortuna lontano dalle loro famiglie per trovare magari una sistemazione come postino in Veneto, come di recente un giovane artista amico mio. Sembra una condanna, continua, quella all’emarginazione, al distacco dal resto del mondo, alla non restanza, all’emigrazione.
D: Germi anticipa Sergio Leone è un po’ Verga, un po’ Pirandello, e un po’ Brancati.
R: È un autore eclettico, plurale come la nostra e la sua Sicilia.
D: A chi si rivolge questo libro? E? un dono alla città di Sciacca e agli appassionati di Cinema?
R: A Sciacca, dove Germi ha girato il primo e l’ultimo dei suoi cinque film siciliani, nessuno ancora aveva scritto un saggio su questo autore. È un libro corale, che contiene tante voci, anche di saccensi che hanno recitato con lui come il presidente dell’associazione Pietro Germi Vincenzo Raso o di estimatori come il direttore artistico dello Sciacca Film Fest Sino Caracappa che si occupano di cinema e vengono chiamati a far parte di giurie di festival prestigiosi. È innanzitutto un dono a me stesso, scritto con tutto me stesso. Spero sia un dono per chi vorrà condividere con me questo viaggio di gratitudine nel sentimento di un uomo, di un artista geniale, morto troppo giovane, a sessant’anni, quasi la mia età di adesso, un maestro che ha dato tanto al cinema italiano, alla nostra terra e che avrebbe potuto ancora regalarci altre svolte e altri capolavori, facendoci piangere, ridere e riflettere sui nostri mali. Pietro Germi merita questo e altri tributi.

Biografia
Raimondo Moncada ha maturato nel corso degli anni numerose esperienze in diversi settori della comunicazione (Primarete, Teleacras, Giornale di Sicilia, La Sicilia, Radio Vela) e dello spettacolo, recitando con diverse compagnie teatrali agrigentine e cantando con gruppi musicali e folcloristici. Negli anni di formazione artistica ha frequentato laboratori teatrali, alcuni dei quali diretti dal regista e scrittore empedoclino Andrea Camilleri, altri dal regista Accursio Di Leo e dal maestro Pippo Flora. Attualmente riveste il ruolo di addetto stampa del Comune di Sciacca. Sul piano letterario e saggistico ha all’attivo pubblicazioni con diverse case editrici. Per il teatro, ha scritto Odissea: Ulissi, i froci e nà troia,Il peccato di Eva, La disoccupazione, Romeo e Crocetta, Perollollero. Dal 2019 è presidente della giuria del premio letterario per racconti brevi e poesie Raccontami, o Musa, organizzato dall’associazione culturale Musamusia di Licata. Dal 2023 è direttore artistico del concorso Sciacca Poesia indetto dalla biblioteca comunale “Aurelio Cassar” di Sciacca.