Partirono in due ed erano abbastanza, canta Venditti. Però se si partiva in Cinquecento con bagaglio per un viaggio di tre settimane fino in Scozia, due erano il massimo.
La puntata in Scozia però sfumò e i due dovettero rientrare anticipatamente. Questo, in compenso, permise di sfruttare la concomitanza del Gran Premio di Formula 1 in Germania, così sabato 4 agosto, alle nove del mattino, partirono per coprire i circa seicento chilometri che separano Londra dalla zona del Nurburgring.
Verso mezzogiorno arrivarono a Dover. Pioveva e in attesa sul piazzale c’erano dei motociclisti americani, con moto enormi, bardati di tutto punto, che Francesco ammirò e invidiò per la dimensione avventurosa e romantica del loro viaggio che – giustamente – gli sembrò molto più affascinante del suo.
Sbarcati in Francia, anzi in Europa, come direbbe un inglese, dopo una sosta in un supermercato per fare la spesa – erano circa le sette di sera – ripresero la marcia, puntando su Bruxelles da dove, dopo una breve sosta in centro, proseguirono verso la loro meta.
E fu sera, e fu mattina, si leggerebbe nella Genesi, ma Francesco non riposò (Antonio, invece, riusciva a dormire anche stando seduto immobile, con una mano appesa alla bacchetta della capote) e proseguì guidando tutta la notte, finché all’alba, nei pressi di Colonia, dopo oltre venti ore di viaggio, dovette fermarsi per non rischiare di addormentarsi guidando. In un’area di sosta si stese a terra nel sacco a pelo per dormire, ma poco dopo cominciò a piovere.
Comunque, o bastò la sosta, anche se breve, o le gocce di pioggia sciolsero il senso di stanchezza, fatto sta che si rimise in marcia e finalmente arrivarono al Nurburgring.
Il circuito si trova in una zona boscosa a meno di cento chilometri a sud di Colonia e a una sessantina a ovest di Coblenza, ed era all’epoca il secondo più lungo del mondo, dopo quello delle Madonie su cui si disputava la Targa Florio, e per il tracciato che si snoda fra le boscose colline dell’Eifel è uno dei più affascinanti.
Riuscirono a trovare una buona posizione lungo la pista, tuttavia non fu entusiasmante come Francesco si aspettava, perché, data la lunghezza del circuito, le macchine passavano a intervalli molto lunghi, come alla Targa Florio.
Finito il Gran Premio, si diressero a sud ovest verso il Lussemburgo, da dove rientrarono in Francia, in Lorena, facendo rotta stabile verso sud, in direzione della Svizzera. Attraversarono Metz, Nancy e i numerosi piccoli centri che si incontrano lungo la strada, finché intorno a mezzanotte, ancora in territorio francese, Francesco fu costretto a fermarsi per la stanchezza. Era tardi per cercare un campeggio, così si fermò all’entrata di un paese, in una rientranza della strada, e si addormentò.
E fu sera, e fu mattina. Lunedì mattina.
All’alba ripartirono e dopo un po’ entrarono in Svizzera. Le formalità doganali si svolsero velocemente, al contrario di quanto era successo due anni prima passando dalla Svizzera alla Francia, quando i doganieri francesi avevano chiesto se avevano “alcoliques” e loro “non monsieur”, poi se avevano “tabacs, sigarettes”, “non monsieur”, “journeaux pornographiques” e loro scandalizzati “nooon monsieur” e infine, con il dovuto pathos, “avez-vous … de la drogue?” “nooooooon monsieur”.
Tornando al rientro da Londra, dopo una veloce sosta a Lucerna ripartirono per l’Italia, dove arrivarono nel primo pomeriggio. Al primo autogrill si precipitarono al ristorante, dove banchettarono con un pasticcio di lasagne, trionfo della cucina italiana dopo venti giorni di alimentazione forzata con pietanze franco-anglo-tedesche o cucinate col fornelletto ai bordi delle strade.
Il resto del percorso fu obbligato: Milano, Bologna, l’Appennino, Firenze, Roma. Nei pressi di Roma si fermarono in un’area di servizio per riposare. Era circa mezzanotte. Antonio rimase seduto in macchina, rigido ed eretto come la statua di Lincoln a Capitol Hill. Francesco, invece, si stese dentro il sacco a pelo in un’aiuola, mentre a pochi metri da lui sfrecciavano rombando macchine e camion.
E fu sera, e fu mattina. Martedì mattina.
Francesco pensava di dormire un paio d’ore e ripartire, invece quando riaprì gli occhi c’era già il sole: aveva dormito almeno sei ore, più di quanto avesse fatto nelle due notti precedenti messe insieme. Era infuriato per il tempo perso, ma finalmente verso sera arrivarono a Catania.
Era martedì sera. Dalla partenza da Londra, sabato mattina, aveva guidato per 2800 chilometri, 1750 miglia, l’equivalente di quaranta Targa Florio o una Mille Miglia e tre quarti, impiegando ottantaquattro ore, delle quali non più di tredici di sonno.
Tutto con la Petite Fiàt (come la chiamavano le francesi conosciute due anni prima ad Amsterdam) alla quale l’Autore dedica i più affettuosi pensieri.
Tratto da “Ti ricordi quella strada …” dello stesso autore