di Marina Salucci
Stava dietro il ciliegio, protetto dalla nuvola chiara della fioritura. C’era una brezza leggera, piacevole. Ma lui non la sentiva. Sudava. E guardava. Guardava il ponte, di sotto, il ponte che doveva saltare e il fiume che scorreva. Maledettamente limpido, con le sponde lisce e dolci. Da sdraiarsi a prendere il sole. Di sotto c’era anche la sentinella nemica. Perfettamente riconoscibile, dalla forma del pesante elmetto, dai colori della divisa. Gli attributi del nemico. Fra un po’ sarebbe saltato in aria insieme al ponte.
Aspettava il boato, e poi via, alla baita del suo distaccamento, per un po’ di giorni a starsene tranquilli.
Il vento gli faceva cadere sul viso i fiori bianchi. Pensò a quando mangiava le ciliegie con sua madre. Erano grosse e lucide. Buone. Ridevano insieme. E non era mica passato tanto tempo. Ma perché la sentinella e il ponte ci mettevano così tanto? Sparsi nel bosco c’erano i suoi compagni, pronti a intervenire se qualcosa fosse andato storto.
Prese il binocolo. Guardò. Caddero altri fiori bianchi. Il prato pareva di neve. Il nemico era fermo là sotto, con quell’odiato elmetto di metallo pesante, con la divisa e le mostrine colorate. Sul ponte pressava il sole. Lo vide prendere la borraccia, slacciarsi un po’ la divisa, portare le labbra all’acqua. Per farlo ruotò un po’ la testa. I gradi giusti per vedergli gli occhi. Dio mio, quant’erano chiari…
Sembravano l’acqua del torrente, ma non c’era calma. Ebbe modo di guardarli ancora. C’era paura. Pensò che poteva morire bevendo, e la cosa lo turbò. Non si sarebbe dissetato mai più. Ma che idiozie vai a pensare, si disse, forse che si sono dissetati i tuoi compagni fucilati la settimana scorsa… Sarebbe davvero ora che saltasse. Intanto il nemico ripose la borraccia e cominciò a frugarsi nelle tasche. Tirò fuori qualcosa. Era difficile mettere a fuoco a quella distanza. Pareva un foglio, molto piccolo. Dovette spremere i suoi occhi per capire che era una fotografia.
Allora si mise febbrilmente a cercare di leggere quel volto. Ma tutto si confuse, velato di riflessi e di sole.
La mano gli andò alla tasca interna della giacca, dove anche lui teneva una fotografia. Sgualcita, un po’ gialla. Sua madre. Quasi non se ne accorse, ma la tirò fuori e la guardò. Pensò al ponte che sarebbe saltato. Il ponte, il nemico e la fotografia.
Di chi?
Ma che gli importava, la miseria?
Eppure dopo una manciata di secondi eccolo di nuovo a pensare. Madre, moglie, sorella? Comunque qualcuno intrecciato stretto alla vita della sentinella, qualcuno che l’avrebbe pianto. Guardò la foto nella sua mano e con turbamento si disse che stavano facendo le stesse cose. Ma com’era possibile se erano nemici?
Abbassò la testa sulla foto. Vide i lineamenti di sua madre, dolcissimi.
Quando l’alzò riprese il cannocchiale. Guardò.
Ma che cosa stava facendo la sentinella?
Portava le mani alla bocca, e le muoveva ritmicamente. Forse…
Sì, fra le mani c’era la foto, e la stava baciando. Quegli occhi pieni di paura si aggrappavano a un affetto profondo, come mani su roccia scoscesa. L’incontrò ancora. Erano lucidi. Le labbra si muovevano. Un nome?
Il sole saliva. Vide che la sentinella si tolse la giacca.
E a lui arrivò alla testa quel pensiero destabilizzante.
Ma se si fosse spogliato, spogliato fino a rimanere nudo, via l’elmo crudele e le mostrine, via tutto, nudo sul ponte, sarebbe stato ancora un nemico? Da che cosa l’avrebbe riconosciuto? Se rimaneva nudo, non sarebbe stato soltanto… soltanto un… Che cosa vado pensando, si chiese, non c’era bisogno di riconoscerlo, lo sapeva che era nemico. Apparteneva a quelli che stavano schiacciando la sua patria. Crudeli, sadici, sterminatori.
Prese il binocolo e vide ancora il suo volto. I suoi occhi.
Ma com’era possibile che quegli occhi fossero sterminatori… ma davvero bastava una divisa?
E intanto il nemico baciava la fotografia.
Pareva un gesto rituale e disperato.
Guardò di nuovo la foto nella sua mano, vide gli occhi di sua madre, e fu come se gli parlasse. Si alzò in preda a una pulsione improvvisa, concitata, e si mise a correre, correre, correre verso il ponte, sotto il sole pressante, accanto al fiume di cristallo. Mica sarebbe saltato proprio ora, dopo tanto che aveva aspettato. La corsa si faceva forsennata, pensava a che cosa avrebbe raccontato al commissario, non sapeva che cosa avrebbe detto, non certo che aveva scoperto che il nemico era solo un… Stava chiedendo l’impossibile alle sue gambe, il fiume e gli alberi saltavano con lui, tutto saltava al ritmo della sua corsa. A un certo punto saltò anche il ponte. E lui, e il nemico. Nello stesso momento. Che nessuno li avrebbe riconosciuti. Straziati, uguali identici. A brandelli. La missione era stata compiuta.
MARINA SALUCCI – BIOGRAFIA
Marina Salucci è nata e vive a Genova. Dopo la Laurea in Pedagogia ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento di Lettere ed è stata docente alle Scuole Medie Inferiori. Ha collaborato con l’I.R.R.E (Istituto Educativo Statale) per l’organizzazione di corsi di aggiornamento per insegnanti e ne è stata sempre relatrice. Ha scritto per varie riviste letterarie, fra cui la conosciuta “Resine”, animata da Vico Faggi.
È stata premiata in numerosi concorsi letterari e ne ha vinti alcuni, fra cui “Racconti nella rete”, Lucca 2008, con il racconto “La morte del sole”. Attualmente si dedica di preferenza al romanzo.
PUBBLICAZIONI
- L’altra città (raccolta di racconti), Michele di Salvo Editore 2006
- L’acero delle stelle (romanzo), Edizioni Leucotea 2014
- Di cristallo e di fiamma (romanzo), Edizioni Leucotea 2016
- Se esistessimo davvero (romanzo), Alter Ego Edizioni 2019