Una fine d’anno così Francesco non ricordava di averla mai vista. Sembrava che tutti i vortici ciclonici, come li chiamava il colonnello Bernacca, si fossero dati appuntamento sullo Ionio occidentale, anzi proprio sul golfo di Catania, flagellando la costa orientale siciliana.
Come sempre (o quasi) da quando si era trasferito, Francesco aveva passato il Natale a casa e il 30 lo aveva raggiunto Angela, per passare insieme la fine dell’anno e poi rientrare insieme in macchina a Milano.
Sembrava che Zeus Nefelekerete, l’Adunatore di nubi, come viene qualificato nell’Odissea, volesse opporsi a tutti i costi all’arrivo di Angela, tanto che l’aereo rischiò di essere dirottato a Palermo a causa della pioggia scrosciante, ma alla fine riuscì ad atterrare.
Questo forse indispettì il padre degli dei, che continuò ad adunare nubi, ma la pioggia e il vento incessanti dei giorni successivi non impedirono a Francesco e Angela di godersi i pochi giorni di vacanza.
Il 5 gennaio del nuovo anno, il 1985, era un sabato e verso le sette del mattino, come faceva sempre Francesco, si misero in viaggio, per arrivare a Milano all’ora di cena.
Le previsioni meteorologiche annunciavano una perturbazione in arrivo dalla Russia e lui, pensando che se avesse viaggiato al livello del mare avrebbe evitato la neve, prendendosi al massimo la pioggia, decise di seguire la rotta Adriatica. Mai decisione fu più sbagliata!
Le condizioni del tempo non erano delle migliori, ma non pioveva più ed erano rimaste solo grandi masse di nuvole con qualche squarcio di sereno. All’ora di pranzo erano già sulla statale Jonica, nei pressi di Sibari. Si fermarono ai bordi della strada e Francesco, passeggiando per sgranchirsi le gambe ma con lo sguardo sempre fisso sul mare ancora agitato, mangiò i panini che si erano portati da casa.
Inconsapevolmente aveva sempre amato il mare, ma solo dopo essersi trasferito a Milano capì quanto fosse importante per lui, perché quando le cose le hai a portata di mano le dai per scontate. È solo quando non le hai più che ti accorgi di quanto erano preziose, perché ti mancano da morire.
Negli anni seguenti, soprattutto durante i lunghi, umidi e freddi mesi invernali, prese l’abitudine di fare ogni tanto una scappata in Liguria, qualche volta in Toscana, per espellere l’aria stagnante della pianura e rinfrancarsi riempiendosi i polmoni di salsedine, come un cetaceo che emerge per espellere l’acqua e fare scorta d’aria. Così quel giorno, mentre mangiava i panini preparati da sua madre, inspirava profondamente l’aria salmastra portata dal vento e guardava avidamente quello spettacolo di cui per diversi mesi avrebbe dovuto fare a meno.
Ripreso il viaggio, continuarono a macinare chilometri e verso le cinque superarono Pescara. Poi, nei pressi di Teramo, cominciò a cadere un po’ di nevischio e iniziò l’incubo. Man mano che avanzavano verso nord la nevicata si faceva più fitta e la neve si accumulava sulla strada.
Francesco prudentemente si incolonnò sulla corsia di destra, con le mani contratte sul volante. Si sentiva oppresso e impaurito dalla muraglia interminabile di autotreni che sulla corsia di sorpasso lo superavano a una velocità che a lui sembrava pazzesca, e rabbrividiva pensando a cosa sarebbe successo se avessero sbandato.
La nevicata durò fino a Rimini, cioè lungo quella costa dove pensava di essere al sicuro dalla neve. Poi, dopo che l’autostrada piega a ovest e si inoltra nella pianura emiliano-romagnola, la nevicata cessò ma cominciò il rischio del ghiaccio.
Intanto si era fatta tarda sera, doveva essere intorno a mezzanotte, e anche in macchina faceva un freddo bestiale, a mala pena mitigato dal riscaldamento.
Sull’asfalto era stato sparso il sale antighiaccio che però, polverizzato e sollevato dalle macchine che li precedevano, si accumulava sul parabrezza, per cui ogni tanto Francesco doveva fermarsi per pulirlo con una spugna bagnata. Ma il freddo era tale che l’umido della spugna gelava immediatamente formando sul vetro una patina, che andava a sua volta raschiata (l’indomani lesse che nella zona di Piacenza quella notte il termometro era arrivato a dodici gradi sottozero).
Francesco e Angela ritennero inutile cercare un albergo a quell’ora di notte, quando mancavano poche ore alla meta, così andarono avanti e verso le sei del mattino arrivarono al casello di Melegnano. Dopo avere lasciato Angela, finalmente anche lui arrivò a casa, in un paese dell’hinterland, oltre la tangenziale ovest, ma la casa, disabitata da dieci giorni, era gelata e poiché l’unica fonte di calore era una stufa a metano, Francesco per prudenza non l’accese. Si coricò vestito, sotto il piumone, ma dopo un po’ dovette alzarsi per cercare altre cose da mettersi addosso e tenne anche le scarpe.
A un certo punto, erano circa le nove, mentre era in pieno sonno, si sentì scuotere: era Angela, venuta a vedere come stava. Gentilissimo pensiero di innamorata, ma inopportuno in quel momento, per uno che aveva guidato per ventiquattro ore consecutive, dodici delle quali in condizioni di grande tensione.
Nei giorni seguenti la neve coprì tutto il Centro Italia e parte del nord. Roma rimase bloccata e i milanesi se la ridevano; ma poi la neve cadde abbondante anche a Milano e allora a ridere furono i romani, perché neanche Milano resse.
Andò avanti per una settimana e mentre romani e milanesi continuavano a sfottersi a vicenda, tutte le mattine, alla stazione, Francesco aspettava un treno che non arrivava mai e per evitare l’assideramento camminava freneticamente sulla banchina (ma, viste le temperature polari, si potrebbe benissimo dire sulla banchisa).
Poi la perturbazione passò e le temperature tornarono ai consueti livelli intorno allo zero, ai quali anche il suo viziato organismo mediterraneo si era abituato, ma i mucchi di neve rimasero per settimane ai bordi delle strade.
Questo è il racconto della Grande Nevicata dell’85, l’ultimo inverno che Francesco passò a Milano.
Ora capisco perché Francesco e’ ritornato a vivere in Sicilia ! E perché quell’anno e quella nevicata furono memorabili. Un bel raccolto che risveglio ricordi anche nel lettore/ lettrice! Super !