a cura di Anna Lisa Maugeri
Siciliabuona.Nei suoi colori c’è tutto il calore accogliente e avvolgente della terra di Sicilia. Ha in sé la grazia e l’eleganza della romantica e suggestiva Venezia. Occhi grandi e profondi disegnati sulla tela di un volto delicato e luminoso. Cecilia Crisafulli è un mondo che racchiude in sé una storia fatta di sogni belli e di passione, quella per la musica ed il violino al quale ha dedicato anni di studi e dedizione, diventando la violinista affermata che è oggi.
È l’unica donna a suonare nella Max Raabe & Palast Orchester, la famosa orchestra tedesca fondata nel 1986 da Max Raabe, performer dalla voce e dallo stile particolarmente originali e inconfondibili. Un progetto musicale che ci riporta alla musica sognante e allegra degli anni 20 e 30, reinterpretando molti brani moderni, adattati perfettamente alle atmosfere e alle sonorità dell’epoca. Ne è un esempio la cover della celebre canzone di Tom Jones “Sex Bomb” che ha riscosso un grande successo in tutto il mondo.
La violinista Cecilia Crisafulli, 36 anni, ha origini messinesi, ma è nata e cresciuta a Venezia. Il padre Pierluigi Crisafulli, anch’egli violinista, ha suonato per anni al Teatro La Fenice di Venezia. È stato proprio lui a incoraggiare sin da piccola la figlia Cecilia a studiare violino, riuscendo ad accattivarsi la sua curiosità e indirizzando la sua vita all’arte musicale.
Un percorso che ha condotto i suoi passi dal Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia fino a Berlino per consolidare i suoi studi. Poi, nel 2007, la grande opportunità, quando Max Raabe era in cerca di una violinista degna di suonare nella storica orchestra. Cecilia tenta, ed il suo talento non passa inosservato.
Così, da allora, gira per il mondo in tournèe con la Max Raabe & Palast Orchester, unico violino, unica presenza femminile e per di più straniera. Da questo piccolo ritratto emergono già la grande personalità e la determinazione di Cecilia Crisafulli, qualità racchiuse nella dolce figura di donna, professionista e mamma di due splendidi bambini, Julia di 4 anni e Nicolas di 16 mesi.
Essere mamma e donna in carriera, di qualunque lavoro si tratti, qualunque sia la passione che dà senso alla propria vita, richiede sempre un supplemento di forza e di grinta per mantenere in equilibrio sulle proprie spalle due vite in una.
Oggi vi presento Cecilia Crisafulli.
Cecilia Crisafulli, torniamo indietro nel tempo, a quando ancora non sapeva cosa Le riservava il futuro, ai suoi primi approcci col violino. Ci racconti quando e come è iniziata questa storia d’amore con archetto e corde.
Avevo quasi 9 anni, avevo cominciato a suonare il pianoforte a 5, come mia sorella Valeria. Mia mamma Anna Maria, insegnante di matematica e scienze alle medie, e mio papà Pierluigi, violinista al Teatro La Fenice, ci tenevano che alle loro figlie non mancasse l’educazione musicale. Ci portavano ai concerti, ascoltavamo musica classica e non, in casa come nei lunghi viaggi in macchina che da Venezia ogni estate ci portavano a Messina per le vacanze. Mio padre era diventato violinista perché sua mamma, belga, era pianista e con i suoi figli uno ad uno ci aveva provato col violino. Il sesto e più piccolo, mio padre appunto, per amore della mamma aveva ceduto, per poi innamorarsi perdutamente dello strumento.
Si può dire che a me sia successa una cosa simile. Inizialmente non ero molto attratta dall’idea di suonare il violino, il pianoforte dava velocemente piccole soddisfazioni, ma il violino…?
Ci ho pensato su, gli ho chiesto un Polly Pocket in cambio della prima lezione di prova. E così siamo “partiti” papà ed io, con il mio ½ violino in prestito (ci sono varie misure di violino, io ho iniziato con un mezzo). Seduti 40 minuti buoni sul vaporetto all’andata e altri 40 al ritorno, un vero e proprio viaggio, per andare dalla maestra Edda. La prima di tante, tantissime volte, papà, io e il mio violino. Su quel vaporetto. E le chiacchierate, le merende, le risate, a volte persino le giostre per premio prima di tornare a casa. Così andare a lezione non aveva più solo a che fare con l’imparare a suonare uno strumento. Era molto di più. Era tempo prezioso con il mio papà. Lui ed io. E il mio violino.
E non c’erano solo le lezioni, ma lo studio a casa, la preparazione ai saggi di fine anno, ai concorsi, agli esami. L’amore per lo strumento è venuto in seguito, naturalmente, poco a poco. Ma l’amore per il mio papà mi ha trascinata in questa avventura.
Ad un certo punto, ha deciso di lasciare Venezia e di continuare gli studi a Berlino. Quali sono state le ragioni di questa scelta?
Venezia mi è sempre stata stretta. Con le sue calli, tutti quei ponti, un vaporetto che fa il giro della città da sinistra, in tondo per poi ricominciare. Un altro che fa il giro da destra. A rilento… Ho sempre avvertito una certa insofferenza, come se l’acqua alta e la nebbia della città volessero appesantire ancora di più la mia vita in quella che molti definiscono la città più bella e più romantica. Senza togliere nulla a chi ama Venezia, città indiscussamente d’arte, io ho sempre guardato oltre e pianificato che sarei partita non appena possibile. E così è stato. Diplomata al liceo classico nel 2001, al Conservatorio Benedetto Marcello nell’estate del 2002. Pronta per partire a settembre dello stesso anno. Berlino la meta, su suggerimento di un amico di famiglia. E ci ha visto giusto, perché con la città è stato amore a prima vista, tanto che ci abito da diciassette anni ormai e non vorrei spostarmi per alcun motivo.
Vista con gli occhi di una giovane studentessa, oltre che di una promettente violinista, cosa aveva Berlino che l’Italia non offriva? E si è sentita subito accolta?
Berlino è una città grande, cosmopolita. Ho subito respirato libertà. Il mix di culture mi ha aperto gli occhi, finalmente avevo gli stimoli di cui avevo bisogno, che mi hanno fatto crescere e diventare la donna che sono oggi. E lo devo ai miei genitori e ai sacrifici anche grandi che hanno fatto per permettermi di lasciare casa. Abbiamo versato molte lacrime all’aeroporto Marco Polo a Venezia, perché ogni partenza, anche se in cuore era giusta, voleva dire anche separazione, voleva dire dovercela fare da sola, lontana dal sostegno di una famiglia con la F maiuscola che mi è sempre stata vicina nonostante la distanza.
Il primo anno l’ho dedicato allo studio della lingua tedesca, ho evitato il più possibile il contatto con ragazzi italiani per evitare di adagiarmi e dopo le ore a scuola, studiavo il violino, prendevo lezioni private dal professore con cui poi avrei studiato all’università e ripetevo vocaboli e scrivevo, leggevo e guardavo la tv in tedesco. Tutto pur di passare l’esame di ammissione alla UdK a numero chiuso nel luglio del 2003. L’università che ho frequentato si chiama Universität der Künste UdK appunto (università delle arti). Gli studenti erano di ogni nazonalità. Il mio professore, Axel Gerhardt, era allora il primo dei secondi violini dei Berliner Philharmoniker. Ma non era il solo professore di livello che mi ha accompagnato negli studi come nella vita. Anche il professore di storia, quello di pedagogia, e quello di teoria come la professoressa di metodica, sono stati così presenti nella mia vita universitaria che ancora siamo in contatto e vengono ai miei concerti quando se ne presenta l’occasione. Pensare che al liceo i professori mi chiedevano perché perdessi tempo col violino (senza nemmeno interessarsi del livello a cui già ero allora), invece di incoraggiarmi e aiutarmi…
La grande opportunità è arrivata quando ha partecipato alle audizioni per la Palast Orchester. Come è iniziata questa grande avventura?
Era il 17 gennaio 2007, è stato facile memorizzare il giorno preciso perché il 17 è un’altra di quelle cose che unisce me e mio padre. Torna ogni qualvolta che devo affrontare qualcosa di importante. E porta con sé sempre un successo.
Ho partecipato al concorso nonostante inizialmente fossi un po’ titubante. Ero tornata da appena 5 giorni da una lunga vacanza in Brasile, senza violino ! ed estranea al fatto che di lì a poco la mia vita di studentessa ventiquattrenne sarebbe cambiata.
Ho vinto il concorso, sono diventata la nuova violinista della Palast Orchester, prendendo il posto di Hanne Schäfer che, avendo una bimba di due anni, aveva deciso di lasciare il gruppo. Il 14 febbraio la mia prima (e unica!) prova, un mese dopo il primo concerto ad Hannover. Poi a seguire le tournée in Giappone, in Italia e negli Stati Uniti (Carnegie Hall di New York compresa!!!)
Essere mamma e, al contempo, vivere un’esperienza professionale e artistica così affascinante e intensa richiede certamente sacrifici. Come riesce a conciliare queste due sfere della sua vita?
Non è facile e comporta sacrifici e a volte, ammetto, crisi di nervi. Io cerco di dare il meglio in tutto ciò che faccio, a volte anche dove forse, potrei risparmiarmi. Ma è nel mio carattere.
I miei bambini sono voluti, sapevo che non sarebbe stato facile conciliare la mia carriera con l’essere mamma, e fin dall’inizio mi era chiaro che non avrei rinunciato né all’essere violinista, né all’essere mamma appunto. Nel 2014 a qualche mese dal matrimonio con l’amore della mia vita, Piergiorgio, sono rimasta incinta di Julia. Ho affrontato nausee e cali di pressione in tournée. Su e giù, cambi di umore e fastidi vari, sul palco e in viaggio. E anche per i miei colleghi non dev’essere sempre stato facile… !
Fatto è che ho suonato fino all’ottavo mese di gravidanza ed era bellissimo sul palco non sentirsi sole. La mia Julia era lì con me. Io suonavo per lei e lei nel mio pancione danzava e si muoveva sempre con alcuni brani e sì, persino con gli applausi. Poi, quando è nata, ha continuato ad accompagnarmi fino al compimento del secondo anno di vita. Valigie cariche di pannolini, body, tutine, persino asciugamano e lenzuolino, copertina, sterilizzatore, tiralatte per quando durante il concerto aveva bisogno del biberon, pupazzetti, ciucci, l’indispensabile sapone di marsiglia, termometro e una mezza farmacia perché non si sa mai. Durante il periodo dello svezzamento persino un cucina-pappa, coltello, pelapatate, thermos, piattini, posate, bavaglini, sapone per piatti, pezzetta etc Non ho mai voluto rinunciare a nulla. Per lei. Ovviamente in realtà rinunciavo al terzo paio di scarpe per me che prima di lei avrebbe completato i miei outfit sempre diversi in tournée per ogni giorno di viaggio.
Con me e Julia partiva una babysitter (a volte però la nonna o il nonno, a volte il papà) che si occupava di lei in albergo durante i concerti e mi aiutava negli spostamenti. Julia era con me in ogni viaggio dei sue primi due anni di vita. Sul palco ad ogni soundcheck o prova. Ha cominciato a gattonare a tempo di musica proprio su uno di quei palchi… Entrambi i miei figli hanno festeggiato il loro primo compleanno in tournèe con me, Piergiorgio e i miei colleghi e lo staff di tecnici. Julia a Stoccolma, Nicolas a Magdeburg.
Col secondo figlio, Nicolas, ho fatto la stessa cosa. Anche se lui, forse perché è un maschietto o semplicemente perché è un altro bambino e ha un carattere diverso, fa più fatica e ora che ha compiuto 16 mesi sto valutando di inserirlo all’asilo prima e di lasciarlo a casa per dargli quella tranquillità che in tournée sembra mancargli a causa dei continui spostamenti. Dormire ogni sera in un lettino differente sembra pesargli mentre Julia sembrava non farci troppo caso.
Per portarmi Nicolas, ho dovuto lasciare a casa Julia (viene ancora ogni tanto, ma di rado) che nel frattempo è entrata all’asilo perché mio marito ed io avevamo avuto la sensazione fosse comunque arrivato il momento per lei di giocare e interagire con bambini e non più solo con adulti. Mi è costata molta fatica lasciarla a Berlino. Perché nonostante i sacrifici e lo stress di avere una piccolina da accudire in tournée, portarla con me è stata la scelta giusta. Mi sono goduta la mia bambina, non mi sono persa niente nei primi due anni di mia figlia, età in cui si sa, i bambini fanno una cosa nuova ogni giorno e cambiano e crescono di continuo. La separazione ora è dura ma ci siamo abituate. Ma lo scorso anno erano lacrime tutte le volte. Piangevo osservandola dietro il vetro della porta dell’asilo, entrare a manina con la maestra, a volte dovevo sforzarmi per ricacciarle indietro durante quell’ultimo abbraccio, a volte mi facevo forte davanti alle sue di lacrime… Le ho scritto e dedicato una canzone l’anno scorso sul tema, è bella e la cantiamo sempre io e lei prima di addormentarci. Mi piacerebbe inciderla un giorno.
Essere l’unica donna in un’orchestra tutta al maschile è sicuramente un motivo di orgoglio, ma ci sono degli aspetti negativi o delle difficoltà nel doversi confrontare ogni giorno solo con colleghi uomini?
Lavorare con soli uomini è stato difficile specialmente all’inizio, e forse non tanto perché erano uomini, ma perché erano più grandi (anche di 20 anni), avevano l’esperienza lavorativa che a me mancava e non erano italiani, quindi di cultura e abitudini diverse. Ma con il tempo mi ci sono abituata, sono cresciuta anch’io sia di età che professionalmente e le differenze non mi pesano più tanto. Li stimo molto, sono degli ottimi musicisti, e mi ritengo molto fortunata a lavorare con loro. E poi mi sono sempre detta che probabilemente in un team di sole donne non sarebbe stato più semplice. In fondo, essendo l’unica donna e l’unica violinista del gruppo, almeno in questi due campi con loro non ho rivali!
Certo da quando sono mamma, posso dire che mi sento in dovere quasi di dare ancora di più. Non c’è stanchezza, notte insonne, nervosismo o stress che si debba/possa avvertire sul palco. E a volte mantenere il sorriso e la concentrazione sul palco per due ore e mezzo di concerto con un bambino di pochi mesi dietro le quinte mi è costato sforzi immensi. Ma ne è valsa e ne vale la pena. Sempre.
Mentre in molti Paesi d’Europa e oltre oceano la Max Raabe & Palast Orchester è molto apprezzata e conosciuta, in Italia sta ancora cominciando a farsi conoscere. Quali sono le vostre prossime date e tappe italiane?
In realtà Max Raabe e la Palast Orchester suonavano regolarmente in Italia prima che io ne facessi parte. Hanno anche inciso un cd/dvd a Roma che s’intitola Live in Rom. Con lo spot della Lancia Ypsilon erano conosciuti per il rifacimento di Sex Bomb ed erano stati ospiti anche a Domenica In. Nel 2007, il mio primo anno di tournée con la Palast, abbiamo suonato al San Carlo di Napoli e poi alle Ciminiere di Catania, a Taranto, a Prato, l’anno dopo a Verona, qualche anno fa a Milano ad una festa privata per l’inaugurazione della nuova rivista femminile Gioia!
Quest’anno suoneremo il 25 novembre al Teatro dal Verme di Milano e il 26 al Kursaal di Merano.
A me piacerebbe che le date in Italia aumentassero. Che anche il pubblico italiano avesse la possibilità di conoscerci e di apprezzarci. La musica degli anni 20 e 30 è meravigliosa, i compositori italiani di quegli anni bravissimi e i brani infatti molto conosciuti.
Ora che sono cresciuta e che mi sento più sicura di me e di quello che sono diventata inoltre, non voglio più nascondermi dietro al nome del gruppo, ma far sapere al mio Paese chi sono, chi è Cecilia Crisafulli e dove è arrivata. A volte vengo giudicata per essermene andata, per aver addirittura “fatto famiglia all’estero”. Ma io ero una ragazzina in cerca di qualcosa. Ed evidentemente l’Italia in quel momento quel qualcosa non me lo poteva offrire. Non ci vedo niente di male, certo non sarò io a frenare mia figlia casomai un giorno al contrario mio, vedesse nel mio Paese di origine una meta e volesse tornare…
Cecilia, anche quando un sogno è realizzato, l’animo umano ha bisogno di sognare e progettare per il futuro. Di sognare non si smette mai. Quali sono adesso i suoi nuovi sogni?
Suonare, suonare, suonare. Stare sul palco, farmi conoscere, incidere qualcosa di mio, senza dovermi allontanare dalla musica che ormai amo di più. Suonare in teatri quali Il Teatro La Fenice di Venezia e il Teatro Antico di Taormina. E con artisti italiani di ogni genere. Io ho 36 anni e sono arrivata ora ad un punto della mia carriera. Ma non ho finito. Ho voglia di emergere. E di farmi sentire con il mio violino. Il mio detto è sempre stato Volli fortissimamente volli. Chi mi conosce sa che non mi fermo. Mai.