IL CASO DI GIULIA CECCHETTIN: RIFLESSIONE E DOMANDE SU FEMMINICIDIO, SOCIETÀ E DIBATTITO PUBBLICO
A distanza di alcuni giorni dalla notizia della morte di Giulia Cecchettin, uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, e dopo aver osservato l’approccio dei media difronte all’ennesimo caso di femminicidio, le strumentalizzazioni politiche, le analisi di esperti ed opinionisti, nonché le reazioni del popolo dei social, mi permetto di scrivere la mia riflessione, oltre che le mie domande.
Ne abbiamo lette e sentite di ogni genere, assistiamo addirittura agli sproloqui di chi, senza nemmeno attendere i funerali della vittima, già si lancia nell’analisi delle dinamiche familiari della ragazza uccisa e di quelle del suo assassino, per individuare cause e responsabilità, tutto ciò solo sulla base di quanto raccontato da programmi Tv, giornali e social media.
SCIACALLAGGIO MEDIATICO
I familiari di Giulia non si sottraggono a microfoni, telecamere e giornalisti e questi ultimi ne approfittano facendo il loro mestiere, scrutando ogni minimo gesto ed espressione. Tutto materiale che poi finisce in pasto agli utenti dei social network, pronti a pronunciare sentenze e ad interpretare anche in maniera distorta e inappropriata ogni singolo particolare.
Sarebbe stato forse necessario da parte delle famiglie coinvolte tutelare maggiormente l’intimità di un momento tanto tragico e delicato, ma probabilmente l’attenzione dei media e della nazione intera ha avuto l’effetto di un abbraccio, del conforto, permettendo in qualche strano modo di anestetizzare parzialmente il dolore per qualche attimo della giornata.
Non oso immaginare lo strazio di chi ha perso una persona cara per volontà di un assassino, e non certo uno sconosciuto, né quanto sarà dura fare i conti con questa realtà giorno dopo giorno, specie quando le telecamere andranno via per raccontare la prossima clamorosa notizia di cronaca.
LE PAROLE SONO IMPORTANTI, EVITARE LE STRUMENTALIZZAZIONI POLITICHE ANCHE
Abbiamo letto le riflessioni di personaggi influenti e politici che ribadiscono l’importanza delle parole e dicono “non chiamatelo mostro”, riferendosi all’assassino.
Chiamiamolo, infatti, assassino, criminale, perché ciò che è stato commesso è un crimine e non può avere giustificazioni né finire dentro a discorsi ideologici di sorta.
I partiti politici fanno il loro mestiere di acchiappa consensi e spesso, in questo loro gioco perverso, finiscono per creare dibattiti quasi del tutto inutili e che ci allontanano dall’obiettivo di analizzare il fenomeno del femminicidio e porvi fine.
I partiti, come avvoltoi, si fiondano sulle storie delle vittime di femminicidio, attribuiscono superficialmente responsabilità, ma si guardano bene dal ricordare che le loro leggi anti violenza non sono state sufficienti a far sentire più protette le donne, ancor meno hanno saputo mettere in atto iniziative per generare un cambiamento culturale nella società, partendo dai più giovani.
Non c’è stato negli ultimi decenni nessun intervento strutturato dai Governi che si sono susseguiti per avviare nelle scuole un percorso educativo e culturale contro la violenza di genere. Ma soprattutto non assistiamo ad un dibattito serio, senza strumentalizzazioni politiche e che indirizzi la collettività verso un esercizio di auto critica, per una reale presa di coscienza, evitando di ridurre la questione ad una banale e forse controproducente contrapposizione tra uomini e donne.
COSA ACCADE DOPO UN FEMMINICIDIO?
Oggi vorrei essere una mosca ed entrare nelle aule delle scuole, elementari, medie e superiori, e sapere se e come si affronta una notizia di cronaca che da giorni riempie social media, TV e giornali.
Vorrei sapere perché in questo momento sui social gli uomini fanno un mea culpa a prescindere in quanto uomini, mentre altri si affrettano indignati a dire che non sono tutti uguali, non sono tutti assassini di donne.
E perché molte donne stanno puntando il dito contro i maschi, colpevoli a prescindere in quanto maschi?
Ogni donna ha più di un uomo accanto a sé, ad ogni uomo il suo ruolo: figlio, fratello, padre, zio, nonno, marito, compagno, fidanzato, amico.
Quelle donne che puntano il dito contro gli uomini in generale, forse stanno parlando anche dei loro familiari di sesso maschile, stanno denunciando implicitamente abusi e pregiudizi che le colpiscono sottopelle, che non si possono raccontare in una dimensione personale, per pudore, “rispetto”, vergogna, paura.
E se gli uomini si sentono colpevoli o ingiustamente attaccati, se si affrettano a chiedere scusa o a difendersi, forse ne sono intimamente consapevoli.
Se non cambiamo rotta, continueremo a leggere di femminicidi ancora per molti decenni
Abbiamo tutti utilizzato molto male i giorni che dovevano essere del silenzio e della riflessione, giorni preziosi per darci il tempo di sedimentare dolore, rabbia e indignazione.
Molti avrebbero fatto meglio a tacere per rispetto.
Invece ognuno ha voluto dire la sua e in fretta, prima che non se ne parlasse più, perché lo sappiamo bene che fra qualche settimana si spegneranno i riflettori anche su questo femminicidio.
Ancora una volta è diventata una questione di maschi contro femmine, di sinistra contro destra, di progressisti contro conservatori, e ancora una volta non ne veniamo a capo, non affrontiamo responsabilità che appartengono a tutti, donne comprese.
Non viviamo in una società patriarcale, le leggi offrono sulla carta pari opportunità a uomini e donne, ma a cultura del potere, del possesso e della superiorità maschile è ben radicata e quasi immutata nel tempo.
Questa è la società in cui tutti, uomini in testa, hanno imparato le regole del perbenismo, vestendo la maschera della lotta alla prevaricazione maschile sulle donne, ma lo hanno fatto solo per sopravvivere meglio ai cambiamenti sociali, per mostrarsi moderni, progressisti, almeno in apparenza, per salvare la faccia.
Guarda caso, molto spesso l’assassino è sempre un bravo uomo, un bravo ragazzo, l’insospettabile, amico di tutti e di tutte. Fuori dalle dinamiche della relazione sentimentale sono persone ragionevoli, disponibili, comprensive, solidali con le donne, mentalmente aperte. Dentro le mura di casa sono semplicemente se stessi.
Quello che molti uomini pubblicamente giudicano inaccettabile, prevaricatorio, violento, sessista, poi lo perpetrano quotidianamente sulle donne della famiglia e chissà quanto in maniera realmente inconsapevole.
Social e cultura della prevaricazione
Nel dibattito pubblico, i social network spesso sono solo il megafono che porta in ogni angolo del mondo le chiacchiere da bar, tante chiacchiere e nessuna azione concreta ad oggi.
Dunque cos’è cambiato? Solo gli strumenti che utilizziamo per comunicare, informarci e relazionarci, strumenti che spesso diventano anch’essi il mezzo principale per attuare comportamenti di prevaricazione e stalking, oltre ad essere le piattaforme su cui è maggiormente, ancora oggi, veicolata l’immagine stereotipata della donna oggetto, ammiccante, sexy, da possedere e consumare, o crocerossina, sempre accogliente, servizievole e accudente.
In merito a questa cultura dell’oggettivazione delle donne la responsabilità è da attribuire unicamente agli uomini? Cosa stiamo sbagliando noi donne?
Troppo spesso siamo divise, siamo le prime ad essere maschiliste contro le altre donne, compiacenti nei confronti di quella cultura prevaricatrice, a seconda della convenienza. E invece dovremmo essere alleate, intransigenti su certe questioni, e soprattutto smettere di fidarci degli uomini, di giustificarli, compatirli, prendercene cura anche mentre segretamente meditano la nostra morte.