Nel video che di seguito vi proponiamo il giornalista Fulvio Scaglione, esperto di Medioriente, analizza il conflitto israelo-palestinese alla luce di quanto accaduto fino ad oggi, con il rischio sempre più concreto di una escalation. Editoriale di Fulvio Scaglione per il canale di approfondimento Crescere Informandosi.

FULVIO SCAGLIONE

In queste settimane Israele, per essere più specifici l’Israele di Benjamin Netanyahu, sta combattendo una battaglia mortale, come ben sappiamo, ma anche una battaglia strategica e politica forse decisiva.

Dal 7 ottobre, cioè da quando il movimento terroristico Hamas ha lanciato il suo attacco contro i civili e i militari israeliani, uccidendo 1200 persone e tenendone ancora molte decine in ostaggio, la situazione è radicalmente cambiata, si è in pratica rovesciata: il 7 ottobre era Israele sotto attacco, adesso è Israele all’attacco.

In questo momento Israele è certamente l’unico paese del Medio Oriente a cui potrebbe paradossalmente convenire un allargamento del conflitto

Facciamo un passo indietro. L’Israele di Netanyahu sta combattendo una battaglia contro Hamas che, dal punto di vista strategico e da ogni punto di vista, è difficilmente una battaglia vincente nel senso che Netanyahu attribuisce a questo termine.

Lo sradicamento completo di Hamas, la regolazione della vita futura nella striscia, tutto nell’interesse di Israele, difficilmente saranno ottenuti; quello che si è ottenuto finora è certamente un colpo molto importante ai danni delle forze armate di Hamas, ma un colpo ancora più crudele inflitto alla popolazione della Striscia di Gaza.

Il silenzio dell’occidente e il silenzio di quel ectoplasma politico che chiamiamo Unione Europea non significano che comunque tutto questo funzioni, c’è tutta una vasta parte del mondo che condanna questo atteggiamento e che sicuramente si regolerà in base a questo in futuro.

Però Israele (l’Israele di Netanyahu) sa benissimo di avere dalla propria parte la grande potenza americana, comunque sia, qualunque cosa faccia e comunque vada.

I continui viaggi del segretario di Stato Anthony Blinken in Medio Oriente non sono fatti per impedire che l’Iran entri nel conflitto. L’Iran ha già fatto capire che non lo vuole fare, si accontenterà di usare i suoi proxy, cioè gli Huthi yemeniti, l’Hezbollah libanese per tenere in allarme Israele, ma non farà nulla di più.

Blinken non è venuto in Medio Oriente per cercare di impedire che la Siria entri in guerra, la Siria non ha alcuna intenzione di farlo, o che la Giordania, o che il Libano, dove Hezbollah è certamente protagonista ma è anche isolata all’interno (le altre componenti del paese non vogliono una guerra con Israele), o che l’Egitto non faccia la guerra in Israele o peggio ancora che le petromonarchie del Golfo Persico attacchino Israele (proprio quelle petromonarchie che con Israele si stavano mettendo d’accordo).

Il vero scopo dei viaggi di Blinken in Medio Oriente è impedire che Israele faccia allargare il conflitto, perché è l’unico paese che avrebbe in questo momento l’interesse a farlo

Israele avrebbe interesse a fare ciò che fa nella Striscia di Gaza, avrebbe l’interesse a scatenare una guerra contro l’Iran, sapendo che a quel punto gli Stati Uniti entrerebbero sicuramente con le loro portaerei, con i loro uomini, con tutti i mezzi che hanno piazzato in Medio Oriente a combattere contro l’Iran, e avrebbe tutto l’interesse, per esempio, a provocare una crisi ulteriore crisi del Libano che non è un paese in linea di principio ostile a Israele, però ha all’interno, come dicevamo, una componente come Hezbollah molto fedele all’Iran e molto ostile a Israele.

Quindi in realtà quello che è venuto a fare Blinken in Medio Oriente quest’ultima volta e anche le volte precedenti è cercare di placare Netanyahu.

Ormai da due mesi il governo degli Stati Uniti dice esattamente l’opposto di quello che dice il governo di Israele a proposito di Gaza, dello sviluppo della situazione, dell’assestamento futuro della striscia quando, speriamo il più presto possibile, i cannoni smetteranno di sparare.

Ma Israele prosegue dritto per la sua strada e il governo americano non può fare altro che allinearsi, come abbiamo visto nelle recenti votazioni anche all’Onu.

In questo momento la guerra a Gaza serve a Netanyahu

In questo momento la guerra a Gaza serve a Netanyahu, non tanto ad Israele, ma all’Israele di Netanyahu. Quando il conflitto con i palestinesi di Hamas sarà concluso, e prima o poi lo sarà inevitabilmente come avviene con tutti i conflitti, allora Netanyahu dovrà affrontare sicuramente un giudizio politico perché il 7 ottobre è stato un suo grandissimo fallimento.

Il fatto che Hamas abbia potuto penetrare così le difese di Israele, ha fatto saltare la promessa elettorale di Netanyahu, quella di garantire che Israele era sicuro e che la potenza israeliana poteva permettersi nei territori occupati di fare ciò che voleva, a dispetto di qualunque condizionamento e a dispetto, naturalmente, anche dei palestinesi.

In più c’è una guerra di cui noi non sappiamo nulla, noi non sappiamo quello che avviene nelle forze armate israeliane. Sappiamo ciò che avviene a Gaza, quanti sono i morti palestinesi, anche se non lo sappiamo con esattezza perché da un lato c’è la propaganda di Hamas e dall’altra c’è la realtà della situazione ed è probabile che sotto le macerie ci siano ancora centinaia, se non migliaia di persone.

Sappiamo che è stato ferito un attore molto famoso, sappiamo che è morto il figlio di uno scrittore famoso, ma quello che succede ai soldati ordinari di Israele e quante siano le vittime israeliane in questo conflitto, noi non lo sappiamo perché vige la censura militare. E non lo sanno neanche gli israeliani in questo momento.

Quale sarà il giudizio che verrà dato di Netanyahu nella società israeliana quando si poserà la polvere dei cannoni?

Io credo che la guerra Gaza duri proprio anche perché per Netanyahu finché c’è guerra c’è speranza, finché lui è il leader del paese in guerra nessuno può buttarlo giù, nessuno osa buttarlo giù, ma il giorno dopo la fine dei bombardamenti saranno molti quelli che gli chiederanno conto di come si è arrivati a questa situazione.

Prendiamo nota anche del triste tramonto della Presidenza Biden dal punto di vista della politica internazionale

In Ucraina va come va, in Medio Oriente va come va, e su entrambi i fronti bisogna prendere atto del fatto che la politica americana si è rivelata fallimentare.

Questo non vuol dire che la responsabilità dell’invasione dell’Ucraina non sia più di Vladimir Putin, vuol dire però che in tanti anni la politica americana nella parte est del continente europeo (perché gli americani badano bene a non avere grande sul proprio territorio) è stata una politica incapace di conciliare le esigenze di sicurezza, le esigenze di ampliamento della dello spazio di democrazia, le esigenze anche economiche del continente europeo.

Siamo arrivati ad una guerra e le guerre si combattono sempre in due. Putin aveva segnalato molto anticipatamente, già nel 2007, che non avrebbe accettato un’ulteriore espansione, tanto è vero che nel 2008 ci fu la guerra in Georgia.

La colpa della guerra è di chi fa la guerra, però la colpa la responsabilità politica è un altro conto

Gli americani se sono presi l’onere e l’onore di guidare la politica anche europea nei confronti della Russia e quindi sono in parte responsabili anche del risultato catastrofico che è stato ottenuto.

Idem come sopra in Medio Oriente: gli americani hanno sicuramente sempre appoggiato Israele, qualunque cosa facesse.

Dall’inizio degli anni 70 ad oggi gli americani hanno bloccato alle Nazioni Unite 52 risoluzioni che si occupavano di Medio Oriente perché erano ritenute evidentemente non convenienti a Israele.

Gli americani non hanno mai fatto nulla di veramente concreto per bloccare la politica degli insediamenti illegali di Israele e hanno ottenuto molto poco anche sul lato palestinese, quindi sono politicamente corresponsabili di quanto sta avvenendo.

È evidente che questi due atteggiamenti politici non funzionano, i risultati a cui siamo arrivati lo dimostrano ed è assolutamente evidente che occorre anche un ripensamento della politica americana nei confronti del resto del mondo.

Quando si sente dire che gli americani si sono disimpegnati rispetto al Medioriente dobbiamo invece cominciare a pensare che non si sono affatto disimpegnati, lo dimostra la loro presenza adesso nel Mar Rosso, la loro presenza nel Mediterraneo, la loro presenza in Iraq e la loro presenza in Siria, ma purtroppo gli americani, pur nella difesa da loro considerata legittima dei propri interessi, hanno perso in lucidità e hanno smarrito un il senso di una condotta politica che poteva essere criticabile prima, ma che adesso è in effetti disastrosa.

Di Anna Lisa Maugeri

Anna Lisa Maugeri, blogger, web writer, moderatrice, lavora da anni per passione nel mondo della comunicazione e dell’informazione sul web scrivendo articoli, realizzando interviste e contenuti video su temi di attualità, cronaca, tematiche sociali, economia, medicina, salute e benessere. Ha creato e dirige il blog www.siciliabuona.com e il canale YouTube "Sicilia Buona". Ha lavorato per il canale YouTube di informazione ed approfondimento CRESCERE INFORMANDOSI realizzando video interviste ed altri contenuti.

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