La Giulia GT rossa con targa italiana sfrecciava nella notte in direzione di Parigi e in tre ore percorse i quattrocento chilometri che separano Saint Malo, porta della Bretagna, dalla capitale. Il guidatore era teso e concentrato, ma questo non gli impedì di pensare a un’altra corsa notturna, quella da Montecarlo alla Normandia della Mustang di Jean Louis Trintignant, nelle scene conclusive di Un uomo, una donna.
Alla periferia ovest di Parigi attraversò i quartieri dove erano già sorti i primi grattacieli della Défense e, superata la Senna, spenta la radio che gli aveva fatto compagnia nelle tre ore precedenti, accelerò ulteriormente e in poco più di due minuti percorse i cinque chilometri dell’asse viario Charles De Gaulle-Grande Armée-Champs Elysées.
La notte stava per finire, ma il giorno era ancora lontano, così il traffico era molto ridotto, permettendogli di andare a una velocità che, se fosse accaduto un incidente, i giornali avrebbero definito folle.
Scalando dalla quinta alla terza entrò in Place de la Concorde e si diresse verso il ponte omonimo, ma invece di passare sull’altra riva imboccò il Quai des Tuileries. Sempre correndo costeggiò il braccio meridionale del Louvre, a un incrocio passò col rosso e con una spericolata manovra evitò un autobus che usciva da una delle arcate che danno sulla place du Carrousel e imboccò l’altra.
Nonostante fosse concentrato nella guida, di nuovo la sua mente volò altrove e si domandò se quegli
archi fossero davvero allineati con l’arco della pace di Milano, come si chiede Hemingway in “Festa Mobile”.
Attraversata in un baleno la piazza su cui si affaccia il museo più famoso del mondo e superata l’arcata opposta attraversò rue de Rivoli, imboccò l’avenue de l’Opéra e dopo avere passato col rosso altri due incroci costeggiò il teatro, oltrepassò le Galeries Lafayette e dopo altri due semafori rossi superati rallentando appena, arrivò alla Trinité, imboccò la rue Blanche percorrendo la corsia opposta e mentre una macchina gli si avvicinava di fronte lampeggiando freneticamente, imboccò sulla destra la stretta Rue Jean-Baptiste Pigalle.
Davanti al n. 39 fu costretto a un brusco rallentamento a causa di un camion della nettezza urbana fermo davanti a un palazzo. Per non restare bloccato dietro al camion salì con due ruote sullo stretto marciapiede, costringendo una anziana signora che portava a spasso il cane ad appiattirsi contro il muro.
Riprese la corsa fino a place Pigalle, che imboccò dopo avere superato l’ennesimo semaforo rosso, mentre il traffico andava intensificandosi, costringendolo a qualche slalom fra le macchine che lo precedevano; in prossimità del Moulin Rouge ebbe un’esitazione e stava per imboccare una traversa ma poi proseguì dritto, sfrecciò davanti al famoso locale simbolo della Belle Époque, evitò un camioncino che usciva da una strada laterale, per poco non centrò un pedone che attraversava la strada e che si mise a correre per non essere investito e al termine di quel viale svoltò a destra in una larga strada ancora poco trafficata, rischiò di investire una Mini Minor che gli aveva tagliato la strada e continuò la sua corsa attraverso quei quartieri residenziali lungo strade alberate a quell’ora del tutto prive di traffico.
Svoltò spericolatamente sull’Avenue Junot facendo alzare in volo uno stormo di piccioni che cercavano briciole negli interstizi fra i cubetti di porfido, e iniziò la salita verso Montmartre continuando a correre lungo le strette stradine del quartiere che all’inizio del secolo era stato il Quartier des Artistes.
Il guidatore, concentrato nella guida, non si accorse che da qualche minuto un’auto della Gendarmerie lo seguiva a luci e sirene spente, perché i due gendarmi in servizio, notate le sue disinvolte manovre, avevano deciso di non rivelarsi, sperando di scoprire eventuali complici alla fine di quella folle corsa. Intanto lo spericolato pilota, superata Place du Tertre, “la place des peintres”, svoltò a destra e poi subito a sinistra e scalando rumorosamente le marce si fermò con uno stridore di gomme proprio davanti alla Basilica del Sacro Cuore. Non c’era nessuno in giro, così scese dalla macchina e si stiracchiò, camminando nervosamente su e giù davanti al maestoso edificio bianco.
La macchina della Gendarmerie si fermò a qualche decina di metri e uno dei due agenti chiese all’altro
«Et maintenant qu’est-ce on fait? On y va?» «Pas encore, il attends quelqu’un». Lo osservarono guardarsi intorno con impazienza, preparandosi ad intervenire, finché non lo videro voltarsi di scatto verso la scalinata che saliva dai giardini sottostanti.
La loro visuale era coperta, lui invece vide benissimo emergere la testa dai lunghi capelli biondi che ondeggiavano per la corsa, e poi il resto della snella figura che gli correva incontro. Si abbracciarono e rimasero appiccicati per un po’. I gendarmi, che nervosamente lo avevano tenuto sotto controllo, si rilassarono, si guardarono e scuotendo la testa con un sorriso si dissero: «Ah, ces Italiens! C’était un rendez-vous.»
Liberamente tratto dal cortometraggio “C’était un rendez-vous”, di Claude Lelouch
Molto bello e trascinante. Capita talvolta di essere in ritardo e guidare così, ma l’autore lo ha magistralmente raccontato come una gara di formula 1.
Ho pensato ad una gara automobilistica, ma poi che bello, una storia romantica!