di Francesco Pintaldi
Nei giorni scorsi un agente di Polizia Penitenziaria all’Ucciardone si è tolta la vita con un colpo di pistola. In diversi penitenziari sparsi per l’Italia si sono poi registrati gravi episodi di violenza; nel carcere minorile di Torino 52 detenuti si sono barricati in teatro e nella notte hanno tentato di prendere il controllo dell’istituto, 18 persone sono finite in ospedale per intossicazione dovuta ai fumi prodotti dall’incendio dei locali. La rivolta si è conclusa grazie alla delicata e difficile mediazione della Polizia Penitenziaria.
Si può rispondere con la forza a questi episodi di violenza? NO, è vietato, come è giusto che sia, intervenire con la forza comporta di finire in processo. E’ di oggi la notizia che 29 misure cautelari sono state chieste dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere per altrettanti Poliziotti ritenuti responsabili di violenze ai danni di detenuti, fatti che risalgono al 2020.
C’è un problema di fondo.
Come si possono prevenire e isolare questi fatti di violenza? Quali sono le cause scatenanti di queste proteste o di un gesto così drammatico come il suicidio?
Facile rispondere, dare delle risposte diventa quasi un luogo comune, ma è dovere della società interrogarsi su questi temi e non attendere che l’ennesimo ulteriore episodio drammatico si possa verificare.
Il suicidio è la conseguenza di molti fattori scatenanti, quando il dramma investe un agente
di Polizia Penitenziaria, la società ha il dovere di porsi seriamente delle domande chiedendosi se esistono ragioni sociali che hanno determinato un gesto così drammatico.
Il lavoro in un ambiente carcerario è intrinsecamente stressante e può portare a un elevato livello di pressione psicologica.
Gli agenti affrontano quotidianamente situazioni difficili, come il contatto con reclusi violenti, il mantenimento della sicurezza e la gestione di situazioni di emergenza
Sono esposti a episodi di violenza, di aggressioni e ad altre situazioni traumatiche che possono avere un impatto sulla loro salute mentale determinando uno stato di esaurimento fisico, emotivo e mentale causato da stress lavorativo prolungato che può portare a sentimenti di disperazione ed impotenza.
Oltre alle difficoltà lavorative, possono affrontare problemi personali come difficoltà finanziarie, relazioni problematiche o problemi di salute, che possono contribuire al rischio di suicidio.
Essere un agente di Polizia Penitenziaria significa operare in un contesto difficile e impegnativo, dove ogni giorno porta nuove sfide. Richiede una forte resilienza emotiva, una preparazione fisica adeguata, una capacità di gestione dei conflitti e una dedizione profonda al mantenimento della giustizia e della sicurezza, richiede una combinazione di abilità fisiche, mentali ed emotive per gestire una vasta gamma di compiti e situazioni all’interno di un ambiente difficile e pericoloso.
Gli agenti sono responsabili della sicurezza e del mantenimento dell’ordine all’interno delle strutture carcerarie. Questo include la prevenzione di evasioni, il controllo dei movimenti dei detenuti e la gestione delle situazioni di emergenza, come risse o rivolte.
Hanno il compito di interagire quotidianamente con i reclusi, fatto che richiede una grande capacità di comunicazione e gestione dei conflitti. Gli agenti devono essere in grado di riconoscere e rispondere a comportamenti potenzialmente pericolosi e di gestire le dinamiche interpersonali complesse tra i detenuti, tra detenuti e staff e tra detenuti e visitatori.
Gli agenti spesso si trovano a dover offrire supporto emotivo e psicologico ai detenuti, molti dei quali possono avere storie di trauma, problemi di salute mentale o dipendenze. Questo richiede empatia, pazienza e una comprensione delle dinamiche psicologiche. Far rispettare le regole e le procedure della prigione è fondamentale per mantenere l’ordine.
Questo include il controllo delle attività quotidiane, la perquisizione delle celle e delle persone e la gestione delle visite e delle comunicazioni.
Gli agenti devono lavorare in stretta collaborazione con colleghi, superiori e altri professionisti all’interno della struttura (come medici, psicologi e assistenti sociali) per garantire il benessere e la sicurezza di tutti.
Il lavoro è pertanto complesso, stressante e pericoloso, con un alto rischio di aggressioni fisiche e psicologiche.
Nel periodo estivo la situazione nelle carceri diventa particolarmente difficile da gestire poiché diversi fattori possono contribuire a un aumento della violenza tra i reclusi: le temperature elevate possono causare disagio fisico e stress, che possono aumentare l’irritabilità e l’aggressività.
Le carceri spesso non sono ben ventilate o climatizzate, rendendo il caldo estivo particolarmente opprimente. Durante l’estate, il sovraffollamento può peggiorare, aumentando la tensione tra i detenuti.
Spazi ristretti e la mancanza di privacy possono esacerbare conflitti e rivalità
Con l’aumento delle ore di luce, i detenuti possono trascorrere più tempo all’aperto, aumentando le interazioni sociali. Più interazioni possono portare a più opportunità di conflitto.
Durante i mesi estivi, il personale delle carceri è ridotto a causa delle ferie, rendendo più difficile mantenere la sicurezza e gestire le tensioni tra i detenuti.
Durante l’estate, potrebbe esserci una maggiore competizione per risorse limitate come acqua potabile, ventilatori o accesso a zone fresche, il che può portare a conflitti tra i detenuti.
Il periodo estivo è associato a vacanze e tempo libero per la popolazione generale, il che può accentuare il senso di privazione e frustrazione,
La noia e la mancanza di attività strutturate possono portare a un aumento della frustrazione tra i detenuti, che possono sfogare la loro aggressività l’uno contro l’altro o contro il personale carcerario.
Questi fattori, individualmente o in combinazione, creano un ambiente ad alto rischio, aumentando la probabilità di incidenti violenti.
Tutto ciò è solo immaginato dal grande pubblico ma trascurato da quanti hanno responsabilità politiche di intervento. La conseguenza è che il personale si sente isolato o non compreso sia sul lavoro che nella vita personale aumentandone i sentimenti di solitudine e disperazione.
Intanto ogni giorno diventa a rischio di suicidio da parte del personale di custodia e da parte dei reclusi
La società deve divenire consapevole, deve essere partecipe di questo dramma e deve cercare le soluzioni prima di ogni altra questione problematica, deve attuare misure per fornire supporto e risorse adeguate ai loro dipendenti, inclusi programmi di salute mentale, consulenza psicologica e iniziative per intervenire nella ricerca di aiuto. La formazione continua è essenziale per rimanere aggiornati sulle migliori pratiche di sicurezza, le tecniche di gestione dei detenuti e le normative legali.
Tutto questo ha un costo, certo! Ma ignorare il problema fa diventare la società complice.