di Anna Lisa Maugeri
Salvatore Levantino aveva iniziato a scrivere all’età di dodici anni. Adesso che ne aveva settantadue avrebbe voluto sfogliare una ad una le pagine dei quaderni che usava da ragazzino, rileggere le storie di quei personaggi, di uomini e donne mai esistite, ma che in qualche parte nel mondo dovevano pur esserci. Non potevano essere inciampate lì, per sbaglio, nei suoi pensieri.
A qualcuno dei suoi lettori sarebbe piaciuto trovare quelle vecchie pagine logore, con gli angoli attorcigliati e i fogli ingialliti, a lui sarebbe piaciuto un po’ meno. L’idea di dar loro in pasto le sue prime fantasie, mal scritte e piene di errori grammaticali, pagine straripamenti di quell’insicurezza che può avere un dodicenne quando decide di scrivere una storia non lo attirava. Nemmeno lui, a quel tempo, avrebbe potuto immaginare di diventare uno scrittore di successo.
Fatto sta che quei quaderni non esistevano più: li aveva bruciati quando aveva scoperto che sua madre li leggeva di nascosto. Li aveva buttati dentro il fuoco vivo di un bidone dell’immondizia, un fuoco che, in certi giorni, sembrava essere ancora acceso dentro al petto e davanti agli occhi e col tempo, insieme alla carta, dentro quel bidone aveva cominciato a bruciare anche il rimorso per quel gesto.
La sua scrivania era piena di fogli. Erano per lo più appunti scritti in fretta sul primo pezzo di carta che gli era capitato a portata di mano, scritti con quella indecifrabile calligrafia che Matteo, il suo segretario, aveva sempre sospettato essere stata studiata per renderne difficile la lettura, un deterrente per i curiosi di passaggio. Pur avendoli sempre a portata di mano e in bella vista sulla scrivania, non aveva mai cercato di decifrare quelli che sembravano più che altro degli scarabocchi.
Non lo aveva mai fatto non per paura di perdere il posto o perché non ne fosse attratto; era una mera questione di… spazio. Matteo non voleva, o non osava invadere quello ben delimitato che il Professor Levantino si era creato, un universo non misurabile in metri o in stanze o diviso da porte o chiuso da finestre… si trattava invece di quell’area fatta di pensieri invisibili e intoccabili, territorio di sua unica e esclusiva appartenenza, campo rigoglioso di immagini, sogni e riflessioni disordinati e confusi.
Almeno fino a quando la penna non entrava in contatto con un foglio bianco. In quel momento, come se rispondesse ad una sua personale legge dell’universo, la libertà eterna del foglio bianco intrappolato nel blu intenso della biro che scivolava dentro una rete di morbide curve, in un vortice di girotondi di elle e di effe in minuscolo, fra punti severi e virgole pretenziose, diventava il primo testimone di ogni sua fantasia. E ad un tratto, tutto diveniva più chiaro.
Ma non per tutti. Quando la sua “opera” era completa, solo pochi eletti, pochi amici, chiunque fosse nelle sue grazie poteva tenere le sue fantasie davanti gli occhi, leggerle e scoprire quanto fosse comprensibile, quasi infantile la sua grafia.
Matteo era uno di questi, e lo era diventato dopo soli tre anni in cui gli faceva da segretario. Non credeva di avere meriti particolari, semplicemente lo scrittore era ormai un uomo solo, senza moglie né figli e per di più aveva superato l’età oltre la quale agli uomini e alle donne riesce più facile fidarsi degli altri, così come ai bambini.
Salvatore Levantino scriveva tutto a mano e non aveva mai voluto comprare una macchina da scrivere, non lo riteneva necessario e non la trovava particolarmente attraente: aveva troppi tasti da pigiare e faceva troppo rumore, era in netto contrasto col silenzio che si respirava nel suo spazio. Figurarsi la sua espressione quando gli proposero di acquistare un personal computer.
Quella volta però, malgrado le sue resistenze, l’editore lo aveva obbligato a munirsi di quell’aggeggio, e dovette comprarlo anche se lo considerava solo un ingombro sulla sua scrivania, qualcosa che limitava lo spazio a sua disposizione. L’ultima imposizione alla quale aveva dovuto sottostare, promettendo a se stesso di non cedere più a nessun’altra richiesta del suo editore, fu dotarsi di un indirizzo di posta elettronica. Gli dissero che era un modo più veloce per comunicare o inviare il manoscritto.
A lui, che non aveva mai neanche provato ad accenderlo quell’ingombro tecnologico, non restava che delegare. Matteo era stato il primo ad essersi presentato per il posto di segretario e non gli era servito null’altro che rispondere con un sì alla domanda “sai usare il computer?”.
Quando si era reso conto che quei mille euro al mese li guadagnava solo per leggere le email e rispondere alle stesse dietro dettatura del Prof, si era sentito quasi un ladro. Forse era per questo che si prodigava a fare ricerche nel web su quegli argomenti che il suo datore di lavoro cercava solo dentro vecchi libri nelle biblioteche. E lo faceva anche quando non gli era stato richiesto. Poi scriveva la sua breve relazione, metteva in ordine le notizie più interessanti che aveva trovato e gliela consegnava.
Il vecchio (così lo chiamava Matteo), non aveva mai protestato e neanche ringraziato; si limitava a leggere quanto gli era stato consegnato, ogni tanto faceva un piccolo cenno col capo, di tanto in tanto bisbigliava qualcosa ma mai un cenno di approvazione o di disappunto. Finito di leggere, posava quel foglio in un cassetto e riprendeva a scrivere. E stava lì, seduto, senza più alzare gli occhi dai suoi quaderni.
Ultimamente però si era accorto che i suoi occhi ci mettevano sempre meno tempo a stancarsi. Sembrava che per quelle pupille non vi fosse mai abbastanza luce o che fosse troppa per accoglierla tutta. O l’una o l’altra cosa, il dottore non gliel’aveva saputo spiegare e lui non riusciva a capire come mai e in che modo, le parole sparissero dentro lo spazio di un foglio bianco.
Era questo il motivo che spesso lo costringeva a lasciarle sospese nella sua mente, le parole, lì, a volteggiare nello spazio. E questo lo rattristava, perché adesso che la creatività e la fantasia si dilatavano, adesso che la voglia di vita, accompagnata da una strana urgenza di raccontarla si faceva sentire più forte, il suo campo visivo si riduceva. Ora che ne aveva la piena consapevolezza, adesso che poteva lasciare da parte ogni remora e viaggiare nei suoi infiniti spazi fantastici, bisognava fermarsi.
Levantino non era mai stato un uomo di fede, non si aspettava di ritrovarsi avvolto in una luce salvifica appena dopo la morte, né di riabbracciare i propri cari defunti o cose del genere. Se mai fossero esistiti Dio e l’aldilà, e se fosse esattamente come se lo raccontavano gli umani, lui non sarebbe certo finito in paradiso.
Non era mai andato a messa in vita sua, aveva seminato persino il dubbio in chi diceva di avere fede, non aveva mai perso occasione per ribadire la sua idea, ovvero che non esiste null’altro all’infuori di ciò che si può vedere. Ma soprattutto non aveva mai fatto nulla di particolarmente buono per gli altri, nulla degno di nota per meritare una ricompensa eterna.
Quando il dottore gli aveva detto della sua malattia agli occhi, per un attimo si era chiesto se non fosse una punizione divina. “Se esiste solo ciò che si vede, come farai ad esistere in un mondo che per i tuoi occhi non c’è?”, doveva aver pensato quel Dio.
Di certo non era il tipo da convertirsi in cambio di un miracolo. Sarebbe stato fedele alle sue idee senza chiedersi se stava sbagliando, ma in ogni caso, senza sentirsi ridicolo come qualcuno che cambia opinione solo per convenienza, nel momento del bisogno, nel dolore o in punto di morte.
Sarebbe andata come doveva andare. Per il momento poteva bastare avere quel po’ di luce che gli permettesse di continuare a scrivere e tirare fuori quella creatività compressa dentro la sua testa; un po’ di luce che sarebbe servita a liberare spazio in quel cuore strapieno di cose non dette, compresa la sofferenza che gli procurava accorgersi che lentamente il mondo spariva, insieme all’azzurro del cielo, ai volti delle persone, ai fogli bianchi sulla scrivania.
Alcune notti si svegliava d’improvviso con il cuore impazzito dentro il petto che si fondeva col buio della stanza, lì dove lo spazio era diventato vuoto, e in quelle notti la frase che si ripeteva sempre, “andrà come deve andare”, sbiadiva come tutto il resto intorno a lui, non c’era nulla di eroico né di poetico in questo. D’improvviso non si sentiva più un uomo navigato, un bravo scrittore, soltanto un vecchio in una stanza buia.
Tutto questo non lo sapeva nessuno e non lo avrebbe certo raccontato nei suoi libri. Lo confidava solo a quei fogli mezzi scritti e sparpagliati sulla scrivania. Rimanevano incustoditi come deliri impersonali, frammenti di vita vera scambiati per bozze di storie e personaggi da narrare.
Forse neanche Matteo li avrebbe mai decifrati, per quanto, questa volta, avrebbe voluto che li leggesse come faceva sua madre quand’era bambino, non perché meritasse di essere letta quella sua vita celata a volte per paura, altre per pudore, ma perché, come accaduto per le tante storie che aveva scritto, avrebbe potuto ritrovare il suo sguardo sulle cose del mondo e sulla vita che accade attraverso gli occhi del lettore.
ANNA LISA MAUGERI lavora da anni per passione nel mondo dell’informazione scrivendo articoli e realizzando interviste di approfondimento su temi di attualità, cronaca, politica, economia, medicina, salute e ambiente.
Collabora con il sito di informazione e approfondimento CRESCERE INFORMANDOSI. Ha collaborato con la web radio Steradiodj.it ideando la rubrica “Mondo Donna”. Ha collaborato con la rivista online L’Arte del Comunicare ideando la rubrica “Relazioniamoci”. Editor presso il sito web di informazione DailyWorker.it, per il quale ha ideato e curato la rubrica “Vi presento…”, spazio dedicato alle interviste di giornalisti, scrittori, attori, musicisti e personaggi noti. Ha collaborato in qualità di redattrice con la rivista online Il Faro sul Mondo.
Nel 2010 riceve il Premio Speciale della Giuria al Concorso Letterario Internazionale Donna Semplicemente Donna con il racconto inedito “Iris in bianco e nero”. Nel 2011 il suo romanzo inedito “Respira” si aggiudica il Premio della Giuria e si classifica al secondo posto del Concorso Letterario Internazionale Donna Semplicemente Donna.
Ha creato e dirige il progetto editoriale Siciliabuona.com, per il quale realizza interviste, articoli, video e rubriche su diverse tematiche. Ha creato e cura il canale YouTube “Le Interviste di Anna Lisa Maugeri“.