di Salvatore Azzuppardi Zappalà
Ogni mercoledì al rientro dalla pausa pranzo era sempre la solita solfa: «siamo in discesa» si ripetevano un gruppo di colleghi. «Siamo in discesa, Gianni», o Pinuccia o Dario, fate voi. «Siamo in discesa, Mac» facevano eco gli interpellati.
Anche a Francesco, da poco arrivato in quel reparto, era stato detto al momento opportuno che erano in discesa, ma lui, ignaro del significato di quella frase, aveva risposto con uno sguardo stralunato e interrogativo.
Gli fu spiegato che la settimana lavorativa è come un sentiero di montagna: il lunedì inizia la dura salita e il mercoledì all’ora di pranzo si raggiunge la cima.
Francesco sorrise annuendo, e completò «così ora abbiamo superato il valico e stiamo scendendo verso il venerdì pomeriggio!»
Alla lunga la cosa diventò noiosa, ma naturalmente anche lui, che peraltro in quell’ufficio non si ambientò mai, non vedeva l’ora che arrivasse il venerdì pomeriggio, preludio del sabato.
“Sabato” sembrava una parola magica e non si poteva non essere d’accordo con Leopardi nel riconoscere che il sabato era molto più bello della domenica.
Era sempre stato così. Quando andava all’università, nei mesi invernali il sabato mattina Francesco andava a sciare sull’Etna e poi la sera usciva con gli amici per andare al cinema o a mangiare la pizza. Quando, dopo la laurea, si trasferì a Milano per lavoro, benché dedicata alla pulizia della casa e alla spesa, anche la mattina del sabato rimase un giorno speciale. Non si doveva alzare all’alba per correre alla stazione e poi inseguire tram e metro per arrivare in ufficio alle otto in punto. Poteva poltrire e fare con comodo ciò che doveva fare.
Di sabato succedevano sempre cose interessanti e molti sabati, per Francesco, furono indimenticabili. Di uno in particolare conservò sempre un ricordo dolce-amaro. Era febbraio del 1983 e alla radio imperversavano, qualche volta ti pugnalavano, come dice Segio Caputo, le canzoni del festival dei fiori, ma alcune di esse fanno ancora parte della colonna sonora degli italiani: Vacanze Romane, L’Italiano, Vita Spericolata.
Nessun angelo al citofono gli disse vieni fuori, perché lui il suo angelo lo aveva a fianco. Era Lia, la sua ex palermitana con la quale dopo mesi di silenzio avevano deciso di incontrarsi a Roma.
Anche dopo anni Francesco, quando ci pensa può rivedere nitidamente le immagini di quel giorno scorrergli davanti come un film, un film di Lelouch diciamo, perché ci sono un uomo e una donna che si ritrovano, si amano e poi …
Parlarono a lungo, raccontandosi quei mesi di silenzio, passeggiando per le strade del Ghetto, il quartiere ebraico, e dei quartieri limitrofi. Non era la Roma felliniana quella nella quale si avventurarono il pomeriggio di quel sabato. Piuttosto Morettiana, ma girata a piedi, non in Vespa.
Ma anche una Roma da cantautori. Venditti innanzitutto, evocato quando arrivarono a Campo dei Fiori, e poi Baglioni, quando si sedettero sui gradini dell’Isola Tiberina.
«Sai cosa mi viene in mente, guardando il fiume, gli alberi, noi due …? La copertina di Questo Piccolo Grande Amore. Te la ricordi? Quella che si apriva a fisarmonica, con i disegni che raffiguravano la storia raccontata nelle varie canzoni dell’album…»
Fu un sabato pomeriggio indimenticabile, anche se la malinconia latente non li abbandonò neanche nei momenti più felici.
Si fece sera, da un cortile vicino una banda di gatti cominciò a miagolare e loro due si avviarono
lentamente verso l’albergo. Poi, come un dirigibile la notte se li portò via lontano.
NOTE
Nel quarantennale dell’uscita di Sabato Italiano, abbiamo voluto rendere omaggio a Sergio Caputo, raccontando il sabato di un altro trentenne di quegli anni.
Francesco e Lia sono i protagonisti del romanzo “Ti ricordi quella strada …” di Salvatore Azzuppardi Zappalà.
Saluto con piacere il ritorno di Lia e Francesco, miei speculari compagni di viaggio.
Una storia che si dipana nella nostra Italia…..