LIBERO GRASSI. L’IMPRENDITORE CHE INSEGNO’ AGLI ITALIANI IL SIGNIFICATO VERO DELLE PAROLE DIGNITA’ E LIBERTA’
Libero Grassi, imprenditore siciliano, inizia la sua battaglia pubblica contro la mafia nel 1991 inviando una lettera alla redazione del Giornale di Sicilia.
La lettera è indirizzata ai suoi aguzzini. Da anni l’imprenditore riceve continue richieste di denaro da parte della mafia locale, richieste alle quali Libero Grassi si oppone, non ha intenzione di dividere il frutto dei guadagni della sua impresa tessile con i mafiosi.
Così iniziano le intimidazioni e le minacce rivolte a lui e alla sua famiglia, ma nè lui nè i suoi famigliari si piegheranno mai.
La lettera viene pubblicata il 10 gennaio 1991 dal Giornale di Sicilia:
“Caro estortore,

volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l´acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al ´Geometra Anzalone´ e diremo no a tutti quelli come lui“.
“Pagare i mafiosi non è reato”
Il fenomeno mafioso in quegli anni era una sorta di tabù. Spesso personaggi di rilievo e politici dell’epoca tendevano a negare, minimizzare o addirittura a normalizzare il fenomeno mafioso dentro al contesto imprenditoriale e commerciale dell’isola.
A seguito della denuncia pubblica di Libero Grassi ci furono una serie di polemiche, di accuse di protagonismo e qualcuno, anziché mostrare solidarietà a Libero, decise di prendere le distanze dall’imprenditorie siciliano che voleva opporsi alle logiche mafiose.
Due uomini in particolare, seppur con ruoli differenti, delinearono i margini entro cui i cittadini, in particolare commercianti ed imprenditori, dovevano muoversi, limitandosi cioè a svolgere le proprie attività e adeguandosi alla realtà malavitosa, senza fare i poliziotti.
Ebbene sì, questo accadde su due versanti diversi, attraverso due voci autorevoli che da un capo all’altro dell’isola “sentenziavano” su come certe questioni dovessero essere intese ed affrontate.
A Palermo Salvatore Cozzo, Presidente della Confindustria di Palermo e democristiano della corrente di Salvo Lima, prende le distanze da quanto affermava e denunciava pubblicamente Libero Grassi, dichiarando che certe iniziative danneggiavano l’immagine della Sicilia poiché così facendo la si dipingeva come una terra dove l’impresa non cresce a causa della criminalità.
A Catania il 28 marzo del 1991 l’ex giudice Luigi Russo emette una sentenza scandalosa. Vengono assolti dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa i cosiddetti “cavalieri del lavoro” Catanesi, ovvero Francesco Finocchiaro, Gaetano Graci, Carmelo Costanzo e Mario Rendo (soprannominati dal giornalista Pippo Fava “i quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”) motivando tale decisione così:
“E’ questa la realtà con cui deve misurarsi l’imprenditoria siciliana nell’affrontare l’impatto con il fenomeno mafioso e in particolare per trovare soluzioni di non conflittualità con esso, posto che nello scontro frontale risulterebbe perdente sia il più modesto degli esercenti, sia il più ricco titolare di grandi complessi industriali“.

Un ragionamento che tanto ricorda la recente sentenza sulla Trattativa Stato-mafia, quella che assolve gli uomini del Ros per aver cercato e iniziato una trattativa con i boss di Cosa nostra al fine di evitare nuove stragi, anziché cercarli e trovarli per assicurare gli stessi alle patrie galere.
La reazione di Libero Grassi a Radio Radicale
Il giorno seguente alla pubblicazione della sentenza Libero Grassi parla ai microfoni di Radio Radicale: “È importante che noi da siciliani risolviamo questo problema con un atteggiamento preciso e dichiarato. Ognuno ha detto la sua verità, se uno la legge bene. Perché l’associazione industriale, anche a livello nazionale grossomodo ha detto: nessuna protesta per il pizzo. Questa è una verità. Nel senso che non c’è la protesta quando si paga. Un magistrato ha detto, in fondo, che se si vuole fare l’imprenditore industriale in Sicilia, bisogna mettersi il cuore in pace e mettersi d’accordo prima con la mafia. E personalmente a questo non ci sto!”.
L’intervista a Libero Grassi
Nell’aprile del 1991 Libero Grassi decide di parlare in televisione accettando l’invito di Michele Santoro nella trasmissione Samarcanda, dicendo:
“C’è il primato della legge, il primato della politica, il primato della morale, ma c’è un primato superiore: quello della qualità del consenso. La formazione del consenso, che poi è l’arma della mafia. La prima cosa che controlla la mafia è il voto. Ad una cattiva raccolta di voti corrisponde una cattiva democrazia. I valori morali sono transeunti, sono contemporanei. Non c’è un valore morale, non c’è una legge valida per sempre, la legge la fanno i politici, la fanno buona, la fanno cattiva, è relativa al consenso. Sempre. Se i politici hanno un cattivo consenso faranno una cattiva legge. E allora noi dobbiamo curare la qualità del consenso.”
“Il direttore di Confindustria, uomo potente ricco, colto e professore di Università, dice: Le estorsioni rappresentano un dettaglio che probabilmente interessa meno l’industria ed in questo senso ha destato meraviglia, paura, che siano stati notati avvicinamenti”
“Invece il magistrato Luigi Russo dice: Noi non possiamo rifiutare qualsiasi dialogo, si può anche non pagare ma chi non paga deve sapere bene cosa gli succede prima o poi. Succede sempre la stessa cosa, l’ultimo esempio recente: èstato dato alle fiamme il deposito della Rinascente. Si può anche non pagare, ma chi non paga deve sapere bene cosa gli succede prima o poi… se tutti facessero così dalla Sicilia sparirebbero le imprese e migliaia di piccole aziende andrebbero in fiamme“.
Rispondendo alla domanda del giornalista, Libero spiega la scelta di non pagare il pizzo: “Perché è una rinunzia alla mia dignità di imprenditore, se lo faccio io divido le mie scelte con il mafioso“.
L’assassinio di Libero Grassi
Il 29 agosto 1991 alle ore 7:30 Libero Grassi esce di casa per andare al lavoro a piedi. Salvino Madonia lo segue nascondendo la pistola dietro un giornale, insieme a lui c’è anche Marco Favaloro. Entrambi fanno parte del clan dei Madonia. Libero Grassi viene colpito alle spalle da quattro colpi di pistola.
Ogni 29 Agosto in via Alfieri, luogo dell’omicidio di Libero Grassi, la figlia Alice Grassi spruzza la vernice rossa in ricordo del padre ed ogni anno viene affisso il manifesto scritto a mano in cui si legge: “Il 29 agosto 1991 è stato assassinato Libero Grassi, imprenditore, uomo coraggioso, ucciso dalla mafia, dall’omertà dell’associazione degli industriali, dall’indifferenza dei partiti, dall’assenza dello Stato”.
La moglie Pina Maisano Grassi ed i figli Davide e Alice non hanno voluto che fosse posizionata una targa lapidea in memoria di Libero Grassi sul luogo del suo assassinio.
“Riteniamo – spiegò Pina Maisano Grassi – che la targa lapidea si omologhi poi con la muratura diventando un fatto formale. Noi, e soprattutto Libero, eravamo e siamo contrari alle cose formali, preferiamo risuscitare in noi e negli amici le emozioni di quel giorno rifacendo lo stesso manifesto venuto di getto il giorno in cui è successo il fatto.”
https://www.youtube.com/watch?v=3e8LI2iwwd8
Contro il pizzo e la cultura mafiosa sempre
Poco tempo dopo l’omicidio, Davide Grassi, figlio di Libero Grassi, incontra all’assemblea dei giovani industriali Fabio Cozzo, figlio di Salvatore Cozzo, presidente dell’ Associazione industriali di Palermo, che aveva accusato Grassi di volersi solo fare pubblicità con le sue denunce.
In quella occasione Fabio Cozzo continua ad appoggiare le dichiarazioni del padre, ovvero l’idea che l’immagine della Sicilia non può essere danneggiata da certi discorsi sulla mafia e che gli imprenditori devono essere liberi di lavorare senza fare i poliziotti.
Davide Grassi risponde così:
“Non ritengo che sia possibile che un imprenditore sia lasciato libero di pagare le pallottole che uccidono un altro imprenditore. Chi paga il pizzo alla mafia non fa altro che alimentare le casse, la forza di Cosa nostra.”
Libero Grassi ha insegnato all’Italia intera il significato delle parole dignità e libertà, che pagare il pizzo alle mafie significa renderle più forti, indebolire gli imprenditori, aiutare la criminalità organizzata a distruggere le imprese e ad inquinare l’economia del paese con gravi ripercussioni a catena su tutto e tutti.
Insegnamento che alcuni politici ed alcuni uomini dello Stato non hanno mai imparato.
Oggi non si può più fingere che non sia un problema, né che si possa scendere a patti con le mafie. Non vogliono farlo i cittadini, non deve farlo lo Stato.