RiPOST – Ritratti: medici/chirurghi del nostro tempo. Maurizio Piscopo incontra Giada Loria

Conosco Giada da bambina. L’ho osservata a Lercara mentre giocava con mia figlia. Ho capito che avevo dinnanzi una persona straordinaria, fuori dal comune, una bambina saggia e matura. Ho percepito che avrebbe fatto del bene al mondo, mettendo a disposizione di tutti la sua sapienza, la sua intelligenza ela sua umanità, così come sanno fare i medici che danno tutto e non chiedono nulla in cambio. Tra i suoi libri preferiti c’è: “Le notti bianche” di Dostoevskij, tra i fiori i papaveri, il suo colore preferito è l’arancione, il dolce preferito è la torta setteveli).

Ma andiamo a conoscere Giada da vicino.

D: Quando è nata la passione per la medicina e quanto ha influito la tua famiglia in questa scelta?

R: Sono cresciuta in una casa piena di libri, abitata da persone tese a spingere il proprio essere sempre un pò più in là. Le riviste mediche, specie alcune sulle neuroscienze, hanno di certo segnato il fascino che in me ha sempre suscitato il corpo umano, la più perfetta delle macchine. La medicina, probabilmente, è stata solo una scelta di conseguenza. Non so se esista un giorno di inizio per questa curiosità, ma sono abbastanza certa del fatto che non abbia una data di scadenza.

D: Da bambina pensavi che un giorno saresti diventata un chirurgo?

R: Nello scegliere il percorso, in quell’imprecisato momento della mia infanzia, non ho mai saputo immaginarmi come medico senza che questo implicasse l’idea di essere chirurga. È opinione comune che i chirurghi nutrano un senso di onnipotenza che li rende poco sopportabili agli occhi degli altri, ma come può non essere elettrizzante l’idea che le tue mani guantate riescano ad essere ciò che si interpone tra il paziente e la morte?

D: Quanto è difficile svolgere il mestiere di medico nel mondo in cui viviamo?

R: Nel mondo in cui viviamo, ogni mestiere è difficile; perché difficile è far fronte alle proprie ed alle altrui aspettative. Nel mestiere del medico, però, è imposto che venga meno una delle caratteristiche intrinseche dell’uomo: la fallibilità. Per un medico, l’errore non solo non è ammesso, ma non è contemplato. Ogni medico è tenuto all’irreprensibilità, quasi alla perfezione. Di fronte ad una sconfitta, se non sono i pazienti o i loro familiari a recriminare una mancanza, sarà lui stesso ad interrogarsi, a riesaminare ogni bivio, a passare al vaglio ogni passo compiuto o mancato. È difficile fronteggiare l’idea che la vita di qualcun altro dipenda dalle tue decisioni; è difficile rendere conto di queste ultime a chi, da te, aspetta solo una soluzione; una soluzione che non sempre hai, una soluzione che non sempre esiste.

D: Quali sono i limiti della medicina?

R: Durante gli studi, impariamo la “storia naturale delle patologie”, ovvero la descrizione degli eventi causati da una malattia qualora quest’ultima non dovesse incontrare un medico lungo il suo percorso. I farmaci e la chirurgia intervengono per preservare il proseguire della vita, ma questo di certo non riesce a conferire l’immortalità. Nella storia naturale dell’uomo è prevista la sua fine. Direi, quindi, che la medicina ha i limiti dell’essere umano che la professa. La morte, su tutti. La morte che, come diceva Borges, rende preziosi e patetici gli uomini, rende preziosa e patetica anche la medicina, l’unica scienza che aspira a rendere inutile sé stessa pur essendo cosciente di non poterci riuscire.

D: C’è stato un momento in cui ti sei sentita stanca e delusa da questo lavoro?

R: Il lavoro mi stanca, certo, di una stanchezza tanto fisica quanto emotiva. Mi stanca pensare di non poter vincere tutte le battaglie. Mi stanca il “signorina, posso parlare con un dottore?” pronunciato mentre indosso un camice bianco e una targhetta attestante che il dottore, in quella stanza, sia proprio io. Mi stancano il maschilismo, il nonnismo e il pressapochismo professionale. Mi stanca la paura delle pubblicità radiofoniche che aizzano alla denuncia verso chi, in momenti bui, ha fatto il possibile per lenire un dolore. Mi stanca dover agire nel contesto di sistemi che non funzionano, esito di un’incuria decennale da parte di legislazioni cieche, che riconoscono il valore dei medici e delle strutture sanitarie solo di fronte ad una pandemia che toglie il respiro. Il personale sanitario non respira da anni, ma nessuno sembra (pre)occuparsene. Mi delude l’idea che nessuno si accorga di quanto questi motivi di stanchezza siano così ubiquitari e scontati da non fare più notizia. Mi delude che ci si possa abituare alla disfunzionalità tanto da vederla come normalità e che si possa smettere di pensare che sia un processo reversibile.

D: Puoi commentare una frase sui doveri del medico che qui riporto: “I doveri del medico sono la tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona, senza discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera”.

R: Non basterebbero dieci interviste ad eviscerare questi argomenti.In queste parole sono celati temi molto caldi ma ancora poco seriamente considerati. Cosa si intende per tutela della vita? E ancor, prima, cosa si intende per ‘vita’? Quando può considerarsi iniziata e quando può invece essere considerata finita? Non è difficile trovarsi concordi sul fatto che la sofferenza vada lenita, che il dolore vada alleviato e che ciò non debba subire inferenze esterne di alcun tipo. Ben più dibattuta è la questione della vita, del fine vita e della libertà personale. Se il medico deve rispettare la libertà della persona, perché esistono medici che si rifiutano di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza? Non è forse parte della libertà individuale, il diritto della donna a disporre del proprio corpo? E ancora, non è forse parte della libertà individuale, la scelta di interrompere una vita non più considerata degna di tale definizione?

D: I medici e le guerre. Ci sono dei posti nel mondo dove i medici sono come “Ciaula scopre la luna” di Luigi Pirandello, non vedono mai la luce, sempre a contatto con la sofferenza e con la morte anche di bambini innocenti…

R: In ogni ospedale, in ogni reparto ci sono medici a contatto con la sofferenza e con la morte, anche di bambini innocenti, e nonostante faccia parte della vita che abbiamo scelto, è difficile abituarsi all’idea. Alla rabbia di una perdita, si contrappone talvolta la gioia dei successi, in cui sei riuscita a fare la differenza nella storia di qualcuno. I contesti di guerra aggiungono un fattore determinante: l’evitabilità. Se è vero che il finire della vita è ineluttabile, non si può dire lo stesso delle vittime dei conflitti. Il medico di guerra cura le ferite causate dalla stoltezza umana, che non riesce a trarre insegnamento dagli errori passati. Einstein disse: “due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana; ma sull’universo ho ancora dei dubbi”.

D: Cosa salverà il mondo: la bellezza, la letteratura, il cinema, la medicina, i bambini?

R: Forse l’empatia. O qualsiasi altra cosa in grado di farci superare l’indifferenza verso il prossimo.

D: Che spiegazione dai alla violenza quotidiana contro le donne?

R: L’esempio educativo che da millenni i bambini ricevono è permeato da un agire patriarcale in cui la femmina è, per definizione, controparte debole e subalterna, se non addirittura una figura oggettificata: la costola dell’uomo, che comunque è sempre all’uomo che appartiene. Ciò che ne esita è una società di uomini inconsciamente convinti di essere padroni e comandanti del proprio e dell’altrui destino per il solo patrimonio cromosomico di cui sono corredati. Talmente inconscio e automatizzato è questo sistema di pensiero che persino noi donne, talvolta, fatichiamo ad uscirne, sminuendo il nostro essere ed avvallando come lecite richieste o pretese che, in realtà, non lo sono affatto. Purtroppo, però, il problema diventa evidente solo quando raggiunge l’estremizzazione: la donna che sfugge al controllo della figura maschile di riferimento e quest’ultima che si sente autorizzata ad utilizzare ogni mezzo in proprio possesso per ristabilire lo status quo, violenza compresa. Se speriamo di combattere la violenza di genere punendo il reato, stiamo solo facendo medicina palliativa sull’ultimo sintomo apparso a testimoniare la presenza di una malattia. Per sradicare il male bisogna curare le radici.

D: Quali consigli ti senti di dare ad una ragazza che vuole fare il chirurgo?

R: Attualmente, sento ancora di essere io quella che necessita di consigli, per cui non credo di poterne dispensare di preziosi. Quella dei chirurghi non è una vita semplice, sotto nessun aspetto, e senz’altro adesso comprendo quanta ragione avessero coloro i quali negli anni non hanno perso occasione per ricordarmelo, specie in relazione al mio essere cromosomicamente XX e in età fertile.Per fortuna, però, ho conosciuto chi non ha dovuto sacrificare bisturi e portaghi per costruire una famiglia, o viceversa. Nessuno mi ha mai detto fosse stato semplice e scevro da compromessi, ma testimoniano che ne valga la pena. Per cui, io voglio credere che sia possibile non dover scegliere. A chi si trova nei panni della Giada di non molti anni fa e di quella di adesso dico ciò che avrei amato e amerei sentirmi dire: tutto è possibile e, chi dice il contrario, va ascoltato e poi contraddetto con i fatti. Nessuno ha il diritto di affogare un’altrui aspirazione ambiziosa.

D: Medicina e intelligenza artificiale: cosa ci dobbiamo aspettare?

R: L’intelligenza artificiale (IA) è stata oggetto della mia tesi di laurea e mai come adesso sta divenendo un “maintopic” in medicina. Le sue potenzialità sono pantagrueliche così come le ambizioni che in esse si ripongono ma, come in ogni ambito, esiste il risvolto della medaglia, che riveste soprattutto carattere etico e deontologico. Che essa sia in grado di contribuire in modo determinante nell’ingegneria biomedica è già un’appurata realtà, mentre ancora in fase di elaborazione sono le capacità di predizione. Un sottodominio dell’IA è ciò che viene definito “machine learning”, ovvero la capacità di ‘imparare’ dai dati che noi forniamo al software, intersecandoli tra loro fino a ricavarne delle informazioni sulle relazioni che tra questi dati esistono ma che non sarebbero immediatamente manifesti all’analisi umana. Da queste relazioni, potranno essere estrapolate delle ‘previsioni’: ad ogni dato clinico di un nuovo paziente che venga inserito nel database, l’IA sarà in grado di dirci, con buona approssimazione di probabilità, quale sarà l’andamento della malattia e le possibili complicanze cui va incontro, consentendo al medico di adeguare le terapie per cambiarne la storia naturale e migliorarne l’esito. Il mio ambito di ricerca, nello specifico, attualmente riguarda l’applicazione di questa tecnologia alle malattie rare, la cui evoluzione clinica risulta ancora spesso imprevedibile.

D: Un medico ha scritto: “Le vite in pericolo sono ciò che ci fa alzare dal letto la mattina”…

R: Sarebbe facile per me limitare la risposta ad un “è vero”, ma la realtà non è quasi mai così semplice. Questa ‘romanticizzazione’ della professione medica è ciò che verosimilmente ha fatto sì che Medicina sia storicamente un indirizzo di studio tanto ambito quanto lodevole. In buona parte delle giornate quella frase corrisponde a verità, specie quando alle 7 del mattino in reparto sta per svegliarsi, circondato da tubicini ed incertezze, un paziente che neanche tornando a casa la sera prima sei riuscita ad allontanare dalla tua mente. Sarebbe ipocrita da parte mia dire che questo riguardi tutti i pazienti, ma non è affatto inusuale che questa dinamica abiti i primi pensieri del mattino. A questo, corrispondono altre realtà, meno romantiche ed encomiabili, come le infinite ore di straordinario quasi preteso e mai retribuito, le notti e i festivi – e magari fossero solo quelli! – trascorsi lontano dai propri cari, le tutele professionali infime e il carico mentale che, dati alla mano, porta alla ‘sindrome da burnout’ il 52% dei medici (fonte: Il Sole 24 Ore, Maggio 2023). Il lato oscuro della questione riguarda le già nominate aspettative: questa visione romantica della professione talvolta ci induce a pensare sia lecito sottopagare, bistrattare o sfruttare il lavoro del medico perché, essendo mosso dalla millantata ‘vocazione’, sia essa stessa a gratificarne il suo operato. Ciascun medico, come ogni lavoratore, ha diritto a retribuzioni adeguate e gratificazioni professionali che tengano conto delle enormi responsabilità di cui si fa carico.

D: Chi può decidere quando i dottori sono in disaccordo?

R: Se c’è una cosa ormai assodata, è che la medicina non è matematica. Quasi mai esiste un risultato univoco ed inconfutabile ad una domanda, e tra le risposte possibili, possono esservi opzioni opposte tra loro. Il che spesso rende accettabile, se non persino necessario, che due medici possano procedere in maniera differente di fronte alla medesima condizione. Se non in casi eclatanti, è difficile asserire con certezza ove stia il giusto. A questa presa di coscienza, va associata un’altra variabile: ciascuno di noi agisce sotto l’influenza delle lenti colorate di kantiana memoria. Le esperienze personali e professionali di ciascuno, nonché le idee e convinzioni, influiscono sul nostro modo di vedere il mondo e di prendere decisioni. Ecco da dove giunge la necessità di minimizzare questi ‘bias’ e stabilire delle linee guida basate sulle evidenze. La pratica medica oggigiorno si basa per gran parte su studi scientifici effettuati su persone con una stessa patologia alle quali sono stati proposti differenti trattamenti: analizzando i grandi numeri e le evidenze, si stilano dei protocolli che guidano i medici suggerendo quale tra le opzioni ha dimostrato di portare ai risultati migliori. Ma anche questo non è sempre possibile, perché i risultati ottenuti non sono univoci o perché la patologia è così rara da non fornire basi solide di evidenza su cosa sia meglio. Di fronte a due pareri contrastanti, la decisione ultima spetterà sempre e solo al paziente, per quanto difficoltoso possa essere prenderla. Se la questione è invece il “come scegliere a chi affidarsi”, allora mi limito a dire come mi muoverei io: chiedendo più pareri possibili a differenti medici qualificati, mentre mi guarderei bene dall’ascoltare voci di corridoio, perché ogni terapia va sartorialmente cucita sul paziente: non esistono taglie uniche!

D: Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

R: L’unico progetto che ho è essere felice, qualsiasi cosa questo significhi.

Biografia

Giada Loria nasce a Palermo il 24 Giugno 1995. Laureata in Medicina e Chirurgia con lode presso l’Università di Palermo, è attualmente una Chirurga Pediatra in formazione specialistica presso l’Ateneo di Messina. Conseguite diverse certificazioni in ambito di Ecografia Pediatrica Point-of-Care ed un Master di II livello in “Malattie Rare” presso l’Università di Firenze, ad oggi presta servizio all’Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione (ISMETT) di Palermo. Durante il suo percorso, ha presentato la propria ricerca come contributo orale in diverse conferenze ed è autrice di diversi manuscript editi a stampa su riviste specialistiche internazionali.

Di Maurizio Piscopo

Giuseppe Maurizio Piscopo (Favara 1953), maestro elementare, compositore e musicista, ha collaborato con Radio Rai Sicilia e attualmente scrive per diverse testate, tra le quali Ripost, Sicilia ON Press e Malgrado tutto. Ha pubblicato, tra gli altri, Musica dai saloni (Casa Museo Palazzolo Acreide, 2008), Merica Merica. Viaggio verso il nuovo mondo, con Salvatore Ferlita e le foto di Angelo Pitrone (Salvatore Sciascia Editore, 2015), Le avventure di Lino Panno (Qanat Edizioni, 2017), La maestra portava carbone, con Salvatore Ferlita (Torri del Vento, 2018), Il vecchio che rubava i bambini (Aulino Editore, 2019), finalista al Premio Racalmare, Raccontare Sciascia, con Angelo Campanella (Navarra Editore, 2021), Vitti ’na crozza. La storia e la musica dei fratelli Li Causi, con Antonio Zarcone (Lilit Books, 2021). Nel 2022 ha ricevuto il premio “Un Maestro per la vita”.

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