TikTok sospende Salvatore Borsellino: “Temporaneamente” fino al 2035
Salvatore Borsellino, attivista e fratello del magistrato Paolo Borsellino, ha denunciato pubblicamente tramite il suo profilo TikTok di essere stato sospeso fino al 16 aprile 2035. Una sospensione di dieci anni, definita “temporanea”, che ha destato scalpore e alimentato il dibattito sulla libertà di espressione sui social network.

Nel suo post, Borsellino ha dichiarato:
“Ho appena scoperto, e non volevo crederci, che il mio account è stato ‘temporaneamente’ sospeso, fino al 16 aprile 2035, cioè per 10 (dieci) anni! Farò ampiamente in tempo a morire. E non me ne viene neanche spiegato il motivo. Mi spiace per chi aveva cominciato a seguirmi, ma non posso continuare a scrivere su un social del genere.”
E aggiunge amaramente:
“Questi sono i social in Italia, non sospendono il figlio di Riina ma sospendono il fratello di Paolo Borsellino.”
Queste parole hanno riacceso i riflettori su un tema sempre più rilevante: la censura e la moderazione dei contenuti antimafia sui social media.
Algoritmi e censura: come le piattaforme penalizzano i contenuti politici e sociali
Nuovi algoritmi e limitazione dei contenuti “politici”
Negli ultimi mesi, piattaforme come Facebook e Instagram hanno modificato gli algoritmi per limitare la visibilità dei contenuti a sfondo politico o sociale, inclusi quelli che promuovono legalità e antimafia. Queste restrizioni, spesso applicate senza notifica agli utenti, hanno portato a una drastica riduzione della portata organica di molti profili impegnati nel sociale.
Shadow banning: la censura invisibile
Lo shadow banning è una forma di censura algoritmica che limita la visibilità dei contenuti senza avvisare l’utente. Gli account colpiti possono continuare a pubblicare, ma i loro contenuti non raggiungono il pubblico, risultando quasi invisibili nei feed e nelle ricerche.
Il ruolo dei social network nel dibattito pubblico
I social media sono diventati il cuore del confronto pubblico, ma le decisioni su quali contenuti promuovere o nascondere sono prese da aziende private senza supervisione democratica. Questa mancanza di trasparenza solleva interrogativi sulla libertà d’informazione e sull’accesso a contenuti fondamentali per la società civile.
I social premiano contenuti leggeri e di intrattenimento, mentre penalizzano tutto ciò che può animare il dibattito pubblico su temi importanti e di alto valore. Tutto ciò esprime la volontà deliberata di censura di determinati argomenti, non a tutela degli utenti, ma del potere.
Anche noi di Sicilia Buona abbiamo spesso fatto i conti con ammonimenti e “punizioni” da parte dei social a causa dei nostri contenuti. Recentemente il social Facebook ha limitato le visualizzazioni dell’estratto della video intervista al magistrato Nino Di Matteo, in cui trattavamo il tema della riforma della Giustizia e parlavamo di lotta alle mafie e alla corruzione.

Premesso che non abbiamo mai ricevuto un centesimo da questo e da nessun altro social e che non è tra i nostri obiettivi, abbiamo constatato che la censura insorge ogni volta che pubblichiamo contenuti che riguardano la lotta alla mafia e parliamo di giustizia e legalità. La punizione: limitazione delle visualizzazioni.
Ma verifichiamo anche che per tutti i social la questione passa velocemente da un problema di “standard della community” a quello economico, segnalandoci quanto segue (da Facebook):
“La nostra tecnologia ha stabilito che questo contenuto ha una monetizzazione limitata perché appartiene ad almeno una categoria con restrizioni nelle nostre Normative sulla monetizzazione dei contenuti.
- Temi sociali discussi: temi che potrebbero provocare un dibattito, ad esempio i diritti personali, civili o politici, in modo polarizzante o provocatorio.
- Tragedie o conflitti: raffigurazioni di sofferenze fisiche o emotive, ad esempio morte, lesione, abuso, malattia o eventi distruttivi, oppure discussioni a riguardo.”
“Cosa puoi fare“, continuano.
Possiamo chiedere un nuovo controllo al social in merito al contenuto contestato, oppure impugnare la loro decisione in tribunale.
O possiamo promuovere quei contenuti, e ovviamente più sarà alto il budget investito in sponsorizzazione, più visualizzazioni potremmo ottenere.
Insomma, i social sono sempre più strumento del potere, una sorta di paese dei balocchi dove non c’è spazio per i valori e per la democrazia, ma solo per il denaro, quello che andrà sempre e comunque nelle tasche dei colossi della comunicazione online, mentre aspettano di vederci trasformare tutti in asini, o indifferenti o spettatori silenziosi, alcuni complici che, per convenienza, si sono adeguati.
Censura e pressioni istituzionali: un equilibrio difficile
A livello europeo, il Digital Services Act (DSA) conferisce alla Commissione Europea maggiori poteri per monitorare e sanzionare le piattaforme che non rispettano le normative sulla disinformazione, con multe che possono arrivare fino al 6% del fatturato annuo delle aziende coinvolte.
In alcuni casi, le piattaforme agiscono su pressioni governative per moderare contenuti legati a sicurezza nazionale o disinformazione. Tuttavia, senza meccanismi chiari di trasparenza, ciò può sfociare in una censura arbitraria e sproporzionata, come sembrerebbe nel caso Borsellino.
Impatto sociale: perché la censura antimafia è pericolosa
La riduzione della visibilità dei contenuti antimafia sui social network è il risultato di una combinazione di fattori, tra cui modifiche algoritmiche, pratiche di moderazione poco trasparenti e influenze esterne.
Affrontare questa problematica richiede un impegno congiunto da parte delle piattaforme, delle istituzioni e della società civile per garantire un’informazione libera, equa e accessibile a tutti.
Oscurare contenuti che promuovono legalità e contrasto alla criminalità organizzata danneggia il dibattito pubblico e la formazione della coscienza civile. È fondamentale che le piattaforme social trovino un equilibrio tra moderazione dei contenuti e tutela della libertà d’espressione.
Italia: il Paese europeo con più contenuti rimossi
La censura sui social network riguardante temi come l’antimafia e la legalità varia tra i Paesi europei, influenzata da normative locali, politiche delle piattaforme e contesti socio-politici. Tuttavia, l’Italia emerge come uno dei Paesi con il più alto numero di contenuti rimossi da piattaforme come Facebook e Instagram.
Secondo i dati Meta del primo semestre 2023, l’Italia ha registrato il maggior numero di contenuti rimossi in Europa:
- 45.000 su Facebook
- 1.900 su Instagram
Per confronto:
- Germania: 22.000 contenuti rimossi
- Spagna: 16.000
- Paesi Bassi: 13.000
- Francia: 12.000
Questi dati indicano un livello di moderazione particolarmente elevato in Italia, soprattutto per contenuti ritenuti legati a disinformazione o controversie politiche.
Cosa viene censurato di più in Italia sui social?
Le categorie di contenuti più frequentemente moderati o rimossi in Italia sono:
- Disinformazione sanitaria (es. COVID-19, vaccini)
- Contenuti politici estremi (neofascismo, incitamento all’odio)
- Disinformazione elettorale
- Geopolitica e guerre (es. conflitto Russia-Ucraina)
- Contenuti sessuali e artistici non eteronormativi
- Critiche alla censura stessa e alle piattaforme social
Serve più trasparenza e responsabilità
La vicenda della sospensione dell’account di Salvatore Borsellino è l’emblema di un problema più ampio: la censura invisibile e non regolamentata dei social network. In un’epoca in cui l’informazione passa principalmente dalle piattaforme digitali, è indispensabile garantire trasparenza, equità e supervisione democratica.
La sfida rimane aperta: assicurare che la voce dell’antimafia e della legalità non venga silenziata da algoritmi opachi.