Blutec: storia di speranze e tradimenti
SiciliaBuona. Quando in Sicilia approdò “l’uomo del Nord” col progetto di rilancio dello stabilimento Fiat-Termini Imerese, si accese un barlume di speranza per il territorio e per i dipendenti in cassa integrazione. La promessa della Blutec spa di Roberto Ginatta era di una rinascita, firmata con l’accordo del 23 Dicembre 2014. Un progetto dal costo di oltre 95 milioni di euro, di cui 71 milioni di fondi pubblici erogati dallo Stato Italiano e dalla Regione Sicilia.
“Finalmente i 760 lavoratori di Termini Imerese, le loro famiglie e un intero territorio possono guardare con fiducia al futuro”, così si esprimeva con soddisfazione il Ministro Federica Guidi. Il territorio, fortemente provato dai precedenti tentativi dall’esito fallimentare, voleva crederci ancora una volta. D’altra parte, quella fabbrica aveva conosciuto tempi migliori. Alla fine degli anni settanta, sotto il comando dell’amministratore delegato Sergio Marchionne, l’industria automobilistica di Termini Imerese del gruppo Fiat poteva vantarsi di essere un modello produttivo: i 1.500 dipendenti che lavoravano alla produzione della Panda erano diventati 3.200 operai alla fine degli anni ottanta.
Le cose cominciano a cambiare agli inizi degli anni novanta, quando si vendono sempre meno auto, per molti dipendenti inizia la cassa integrazione e i lavoratori si riducono a 1.900 occupati. Sergio Marchionne denuncia una serie di difficoltà che rendono oneroso realizzare un’auto al sud più che in altre zone d’Italia, fino a mille euro in più per ogni auto fabbricata. Questo era dovuto anche al fatto che la componentistica necessaria per l’assemblaggio delle vetture era prodotta al di fuori dello stabilimento, cioè nell’Italia settentrionale; ciò comportava ulteriori spese per il trasporto al sud degli stessi componenti. Servivano investimenti e interventi sulle infrastrutture, oltre a una maggiore efficienza nei collegamenti e nei trasporti, come, ad esempio, il completamento del vicino aeroporto. Nulla di tutto questo però è stato realizzato.
Così, il 24 Novembre del 2011 è l’ultimo giorno di lavoro per i dipendenti della fabbrica; l’ultima auto prodotta dal loro impegno è la Lancia Y, il secondo modello della serie. Due giorni dopo, lo stabilimento chiude definitivamente i cancelli.
Ma nel 2014 si torna a sperare: l’uomo venuto dal Nord salverà l’impianto del Sud, riqualificherà, attraverso corsi appositi, i dipendenti, i quali sono chiamati a guardare al futuro costruendo auto ibride. Nel Dicembre del 2016 arrivano i primi 21 milioni di euro.
Qualcosa, però, non funziona. L’agenzia per gli investimenti e lo sviluppo d’impresa Invitalia (partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia) non riceve nei tempi previsti il rendiconto delle spese effettuate dalla Blutec, e anche quando finalmente i rendiconti arrivano, i conti non tornano. Verifiche della Guardia di Finanza all’interno degli uffici dello stabilimento confermano l’assenza di un sofisticato e costoso software da un milione di euro che compare fra le voci di spesa. Gli stessi dipendenti confermano di non averlo mai utilizzato, tanto meno di averlo avuto a disposizione nei computer dello stabilimento. Le risorse erogate dallo Stato, ben 16 milioni di euro, non finiscono nello stabilimento di Termini Imerese, ma sui conti di altre tre società del gruppo Metec, di proprietà al 100% di Roberto Ginatta.
I vertici della Blutec finiscono agli arresti. Il Gip di Palermo, Stefania Gallì, nella sua ordinanza, accusa l’amministratore delegato Cosimo Di Cursi e il presidente Roberto Ginatta di “malversazione ai danni dello Stato”. Si sospetta che le loro intenzioni fossero, sin dal principio, quelle di depredare un territorio che già aveva pagato a caro prezzo un continuo e inesorabile declino. Ciò diventa ancora più odioso se si pensa che Di Cursi e Ginatta non hanno tenuto in considerazione nemmeno le ripercussioni che il loro “gioco sporco” avrebbe avuto su centinaia di vite e le relative famiglie. Una fabbrica che potremmo definire “sfortunata”, quella di Termini Imerese, un territorio del sud nuovamente avvilito e che, adesso, attende giustizia.