La Morti veni

I Palermitani sono assai affezionati a’ forestieri, godono di loro compagnia e ben anche si piacciono d’imitarne le maniere. Ma quando ne vengono in qualunque modo oltraggiati o disprezzati inviperiscono e si danno in preda ai furori della vendetta. A questa cagione debbono attribuirsi le particolari antipatie nate al 1814 col reggimento di cavalleria Inglese, Brunswick, denominato della morte (perché i soldati portavano nel casco l’emblema di un teschio con ossa di morto incrocicchiate), allorché per una quasi ironia si diceva al comparir di quei soldati: la morti veni.
(Cacioppo, 1832)

Nel documento si parla del reggimento di cavalleria di Brunswick, noto come “Corpo della Morte” per il distintivo teschio e le ossa incrociate portati sui loro caschi. E’ un’unità militare che ha lasciato un’impronta significativa nella storia europea delle guerre napoleoniche. Fondato dal duca Federico Guglielmo di Brunswick-Wolfenbüttel, soprannominato il “Duca Nero”, il reggimento incarnava lo spirito di resistenza contro l’occupazione francese, simboleggiato dal lutto per la patria perduta. Questa forza militare combatté con determinazione al fianco delle truppe alleate, incluso l’esercito britannico, distinguendosi in diverse battaglie, tra cui quella di Waterloo del 1815.

Un aspetto meno conosciuto, ma intrigante, della storia di questo reggimento è il suo passaggio in Sicilia nel 1814. Secondo il documento del 1832 attribuito a Cacioppo, i soldati del reggimento furono impiegati nell’isola e suscitarono sentimenti contrastanti tra i Palermitani. Questi ultimi, notoriamente ospitali nei confronti dei forestieri, sembrano aver accolto inizialmente i soldati con curiosità e interesse. Tuttavia, il comportamento dei militari e il loro aspetto lugubre avrebbero generato tensioni, dando origine a particolari antipatie. L’emblema della morte sui caschi e l’atteggiamento percepito come irrispettoso o provocatorio avrebbero spinto i Palermitani a pronunciare, con una vena di ironia mista a paura, la frase: “La morti veni“, al passaggio delle truppe.

La descrizione di questi eventi, sebbene suggestiva, richiede una valutazione critica lasciando spazio all’ipotesi che il racconto di Cacioppo possa contenere elementi di esagerazione o essere stato arricchito per enfatizzare il contrasto culturale tra i soldati e la popolazione locale.

Il reggimento di Brunswick

Il reggimento di Brunswick è stato un simbolo non solo di resistenza militare, ma anche di un’identità culturale forte e determinata, capace di ispirare timore e ammirazione. La sua storia rimane un esempio di come la memoria collettiva possa intrecciarsi con fatti storici, creando narrazioni che ancora oggi stimolano l’immaginazione.

All’inizio del XIX secolo, la presenza dell’esercito britannico in Sicilia si inserisce in un momento cruciale delle guerre napoleoniche. Nel 1806, con l’occupazione del Regno di Napoli da parte di Napoleone Bonaparte, la corte borbonica fu costretta a ritirarsi in Sicilia. Ferdinando IV di Napoli, che assunse anche il titolo di Ferdinando III di Sicilia, trovò rifugio a Palermo grazie all’aiuto britannico. La Sicilia divenne così una base strategica per la Gran Bretagna, che la utilizzò per contrastare l’espansione napoleonica nel Mediterraneo e proteggere le sue rotte commerciali.

Gli inglesi assunsero un ruolo decisivo nel garantire la sicurezza e la stabilità dell’isola, proteggendo la monarchia borbonica dai tentativi di riconquista da parte della Francia. Lord William Bentinck, comandante delle forze britanniche in Sicilia e rappresentante del governo inglese, fu una figura centrale in questa operazione. Sotto la sua guida, non solo vennero riorganizzate le difese dell’isola, ma furono anche introdotte riforme politiche significative, tra cui una costituzione ispirata al modello inglese, promulgata nel 1812. Questo documento mirava a limitare il potere assoluto del re, segnando un passo avanti verso una maggiore modernizzazione politica.

L’esercito britannico stazionò in Sicilia con forze consistenti, includendo reggimenti di fanteria e cavalleria. Le guarnigioni furono distribuite in punti strategici dell’isola, come Palermo, Messina e Siracusa. Messina, in particolare, fu fortificata per il suo ruolo cruciale come punto d’accesso e per la sua vicinanza al continente. Le truppe britanniche migliorarono le infrastrutture difensive, costruendo nuove fortificazioni o rafforzando quelle già esistenti. Malta, sotto il controllo britannico dal 1800, servì come ulteriore base di supporto per le operazioni nell’isola siciliana.

Il rapporto tra la popolazione locale e le forze britanniche fu spesso complesso. I siciliani, noti per la loro ospitalità, mostrarono un misto di rispetto e diffidenza nei confronti degli alleati. Se da un lato gli inglesi furono apprezzati per il loro sostegno contro Napoleone, dall’altro venivano percepiti come invasori interessati a fini propri. Nonostante ciò, il ruolo britannico fu determinante per mantenere la Sicilia libera dal controllo francese e garantire la sopravvivenza della monarchia borbonica.

La presenza britannica sull’isola terminò gradualmente dopo la sconfitta definitiva di Napoleone nel 1815 e il successivo Congresso di Vienna. Con la restaurazione della monarchia borbonica e la stabilizzazione del Regno delle Due Sicilie, le truppe britanniche lasciarono la Sicilia. Questo periodo rimane una testimonianza importante del contributo britannico alla storia siciliana, non solo dal punto

Chi era William Bentinck

William Bentinck (1774-1839) fu un politico e generale britannico che giocò un ruolo chiave in diversi momenti cruciali del XIX secolo, iniziò la sua carriera militare e politica con incarichi di grande rilevanza durante le guerre napoleoniche e successivamente come governatore generale dell’India.

Ruolo in Sicilia

Dal 1811 Bentinck fu inviato in Sicilia come ambasciatore e comandante delle forze britanniche, in un periodo in cui l’isola era sotto il protettorato inglese per proteggere la monarchia borbonica dalla minaccia napoleonica. Una delle sue azioni più significative fu promuovere nel 1812 una costituzione ispirata al modello inglese per rafforzare il controllo britannico e stimolare sentimenti liberali nella borghesia siciliana.

Quando Ferdinando cercò di riprendere il potere, sostenuto dalla regina Maria Carolina, Bentinck intervenne con fermezza, obbligando il re a rinunciare ai suoi propositi e costringendo la regina a ritirarsi a Vienna, dove morì poco dopo.

Campagna d’Italia

Nel 1814 Bentinck guidò una campagna militare per liberare il nord-ovest italiano dai governi napoleonici. Dopo aver occupato Livorno, Siena e Firenze, proseguì verso Lucca e Genova. Nonostante le direttive britanniche gli imponessero di mantenere un approccio conservatore, Bentinck agì da promotore delle aspirazioni liberali italiane, proclamando il ripristino delle leggi pre-napoleoniche a Genova. Tuttavia, il suo atteggiamento liberale fu sconfessato dal governo britannico, che preferiva un allineamento con le monarchie conservatrici europee.

Governatore generale dell’India

Nel 1828 Bentinck fu nominato governatore generale del Bengala, con il compito di riformare la Compagnia delle Indie Orientali. Durante il suo mandato, adottò misure di occidentalizzazione, come l’uso dell’inglese nei tribunali e la promozione di un sistema educativo sul modello britannico.

Si distinse per la soppressione del sati, una pratica religiosa che prevedeva il sacrificio delle vedove, e per la lotta contro la setta dei thug, contribuendo a significativi cambiamenti nella società indiana.

Le sue riforme, benché efficaci sul breve termine, furono anche causa di tensioni che contribuirono all’ammutinamento indiano del 1857. Tra le accuse che gli furono mosse, vi fu anche la presunta intenzione (mai realizzata) di smantellare il Taj Mahal per venderne il marmo.

Taj Mahal

Morì a Parigi nel 1839, lasciando un’eredità complessa, fatta di modernizzazioni audaci ma anche di controversie, in particolare in India.

Cosa è la pratica funeraria chiamata sati?

La pratica del satī (tradotto:fedele), conosciuta anche come suttee, è un’antica tradizione funeraria dell’India che prevedeva il sacrificio della vedova sulla pira funeraria del marito defunto. Questa usanza, oggi proibita, affonda le sue radici nella cultura e nella religione indù, dove il termine “satī” significa “donna virtuosa” o “colei che è fedele”. Era considerata un atto di estrema devozione e purezza, che permetteva alla vedova di unirsi spiritualmente al marito nella morte e di purificarsi per le vite future.

La tradizione attribuiva grande valore alla fedeltà e alla castità della moglie, tanto che una donna che compiva il sati veniva venerata come un modello di virtù e un esempio di eroismo. Tuttavia, dietro questo ideale si celavano anche pressioni sociali e culturali. In una società patriarcale, le vedove spesso erano viste come un peso economico e sociale, specialmente se giovani e senza figli. Questo contesto spingeva alcune donne a compiere il sati, anche se in molti casi potevano essere costrette o manipolate dalla famiglia o dalla comunità.

La pratica si svolgeva durante i riti funebri del marito. La vedova, vestita con abiti cerimoniali, si distendeva accanto al corpo del consorte sulla pira funeraria, che poi veniva accesa. Nonostante fosse presentata come una scelta volontaria, il sati era spesso il risultato di dinamiche di potere, onore familiare e superstizione. Si credeva che attraverso questo sacrificio la donna garantisse la salvezza spirituale propria e del marito.

Nel XIX secolo, la pratica del sati divenne oggetto di critiche e riforme. William Bentinck, governatore generale britannico dell’India, fu tra i protagonisti dell’abolizione ufficiale del sati nel 1829, considerandolo incompatibile con i principi morali moderni. Questo intervento fu sostenuto da riformatori indiani come Raja Ram Mohan Roy, che condannarono vigorosamente la tradizione e lavorarono per sensibilizzare la società indiana. Nonostante il divieto, episodi isolati di sati continuarono a verificarsi fino al XX secolo, spingendo il governo indiano ad approvare ulteriori leggi contro questa pratica.

Raja Ram Mohan Roy (Radhanagar, 22 maggio 1772 – Bristol, 27 settembre 1833)

Oggi, il satī è illegale in India ed è considerato una grave violazione dei diritti umani. La sua eredità culturale permane come un simbolo delle disuguaglianze di genere e un monito delle oppressioni legate alle tradizioni. Al contempo, rappresenta un esempio di come le riforme sociali possano sfidare e superare usanze profondamente radicate, stimolando riflessioni sul ruolo delle donne e sui diritti umani nella società moderna.