Il ritorno di Martin Guerre” di Natalie Zemon Davis è un libro, o meglio, un saggio storico-culturale riguardante uno dei più famosi casi di doppia identità nella storia dell’umanità.

La scrittrice Natalie Zemon Davis, venuta a mancare nel 2023, rappresenta ad oggi una delle più importanti storiche americane del XX e XXI secolo, nota per il suo approccio innovativo alla storia sociale e culturale. Ci presenta, tra le sue pagine, un avvenimento tra i più conosciuti e discussi in assoluto appartenente alla Francia del Cinquecento e che vede come protagonista Martin Guerre, un umile contadino di origine basca che si stabilisce con la famiglia nel piccolo villaggio di Artigat, nella regione della Linguadoca, a sud-ovest dei Pirenei, in territorio francese.

La storia

Il ritorno di Martin Guerre” di Natalie Zemon Davis

La trama si presenta al pubblico tanto semplice quanto intrigante: la famiglia Guerre riesce velocemente a integrarsi all’interno della comunità grazie specialmente al matrimonio del figlio Martin con la giovane e bella Bertrande, della famiglia dei Rols. La loro unione inizialmente non porta alla generazione di una prole, ma dopo ben otto anni nasce finalmente il piccolo Sanxi.

È il 1548 quando Martin Guerre, a seguito di un litigio con suo padre, decide di abbandonare la famiglia e il villaggio, lasciando Bertrande una vedova senza lutto (impossibilitata a risposarsi proprio per la non certificazione di morte del marito). Quasi un decennio più tardi, un uomo si presenta ad Artigat sostenendo di essere Martin Guerre.

Arnaud du Tilh, proveniente dalla regione di Sajas e soprannominato “Pansette”, era un truffatore la cui straordinaria somiglianza con Martin e la conoscenza dei dettagli sulla sua vita privata lo aiutarono a convincere la comunità e la famiglia della veridicità delle sue affermazioni. Persino la moglie sembra esserne convinta, almeno inizialmente. La coppia vive in armonia fino al 1559, dando alla luce altri due figli, ma l’idillio si rompe con l’insorgere di conflitti nel parentado, dovuti alla divisione delle modeste eredità familiari. Alcuni membri della famiglia, in particolare lo zio Pierre Guerre, cominciano a nutrire sospetti sulla sua identità. Bertrande sembra sostenere l’impostore, ma la sua vera motivazione è ambigua. È difficile stabilire se sia stata ingannata o se abbia consapevolmente accettato la situazione per convenienza o per desiderio di stabilità.

Pierre Guerre decide di denunciare Arnaud du Tilh e avvia un processo contro di lui per usurpazione d’identità. Bertrande stessa, una figura chiave nel processo, testimonia contro Arnaud. La sua testimonianza è ambivalente e solleva questioni su quanto fosse consapevole del fatto che non fosse il vero Martin. In un colpo di scena drammatico, il vero Martin Guerre ritorna durante il processo. L’uomo è mutilato (ha perso una gamba in guerra al servizio spagnolo), ma la sua identità è confermata dalla comunità e dalla sua conoscenza intima dei fatti. Arnaud viene definitivamente condannato a morte per usurpazione d’identità e per adulterio con Bertrande. La sua condanna viene eseguita pubblicamente, con l’implicita ammonizione alla comunità riguardo alla fragilità delle apparenze e alla necessità di mantenere l’ordine sociale.

Com’è nato il libro

L’autrice stessa di questo esempio di microstoria ci dice, nell’incipit del libro, che l’idea per la stesura dello stesso giunge dal set di riprese di un film nel quale le venne chiesto di collaborare in qualità di consulente storica. Si tratta del celebre “Le Retour de Martin Guerre” (1982), diretto da Daniel Vigne e interpretato da Gérard Depardieu nel ruolo di Martin e Nathalie Baye in quello di Bertrande.

Questo film, che combina una ricostruzione storica accurata con una sensibilità narrativa contemporanea, ha riportato il caso all’attenzione di un pubblico internazionale. Natalie fu ispirata dal laboratorio storico che queste riprese le stavano offrendo, ponendole sempre più interrogativi sulla fedeltà delle rappresentazioni storiche e sull’equilibrio tra accuratezza e licenza artistica. Così la Davis decise di fare tesoro dell’esperienza cinematografica per sviluppare più approfonditamente il personaggio di Bertrande e la complessità sociale e culturale in cui la vicenda si instaurò, intrecciando i fatti con analisi più ampie.

Il caso di Martin Guerre

Il caso di Martin Guerre, a mio parere, solleva interrogativi profondi e senza tempo: cosa significa davvero essere sé stessi? È possibile scindere la propria identità dalla percezione che gli altri hanno di noi? Chi siamo nel contesto della famiglia, del lavoro, delle amicizie o del giudizio altrui? Questi interrogativi rimangono estremamente attuali in una società in cui ciascuno si trova a confrontarsi costantemente con molteplici versioni di sé, senza che sia possibile identificarne una che metta tutti d’accordo.

Questo tema emblematico richiama, ad esempio, il pensiero di Luigi Pirandello, uno dei più grandi protagonisti della letteratura e della riflessione psicologica italiana del XX secolo. Pirandello, con la sua teoria delle maschere, ha esplorato l’idea che l’identità sia frammentata e mutevole, un riflesso della molteplicità di ruoli che ciascuno interpreta nella propria vita. Secondo il drammaturgo, le “maschere” non sono solo strumenti per presentarsi agli altri, ma anche un compromesso con le aspettative sociali e il desiderio personale di coerenza.

Nella vicenda di Martin Guerre, queste intuizioni trovano una sorprendente risonanza: l’impostore Arnaud du Tilh indossa letteralmente la “maschera” di Martin, e la comunità stessa contribuisce a costruire questa nuova identità accettandola, almeno temporaneamente, come autentica. Pirandello e Natalie ci invitano dunque a riflettere su come l’identità non sia mai un fatto assoluto, ma il risultato di un gioco complesso tra l’essere, l’apparire e la percezione altrui, una tensione che attraversa i secoli e risuona profondamente anche nel nostro presente.

Il personaggio di Bertrande de Rols

Un aspetto cruciale dell’intera vicenda è, secondo la mia prospettiva, la già citata figura di Bertrande de Rols, che emerge come la protagonista assoluta delle dinamiche che ruotano attorno al marito, reale o presunto. Il suo personaggio è tanto centrale quanto complesso, poiché è su di lei che gravita gran parte del peso emotivo e narrativo della storia. Bertrande rappresenta una figura ambivalente: una donna che, da un lato, sembra prigioniera delle aspettative di una società patriarcale, ma dall’altro dimostra una straordinaria capacità di adattarsi e di sopravvivere in un contesto che le lascia ben poco margine di manovra.

Il suo ruolo è reso ancora più ambiguo e affascinante dal dubbio che permea la sua relazione con il presunto Martin Guerre. Si tratta davvero di una moglie ingannata, accecata dal desiderio di avere nuovamente al suo fianco un marito, o Bertrande è, almeno in parte, consapevole della finzione? Questa ambivalenza è una delle chiavi di lettura più potenti dell’intera vicenda. È possibile che il suo desiderio di ricostruire una stabilità familiare le abbia fatto accettare, volontariamente o meno, la nuova identità dell’uomo che si presenta come Martin. Allo stesso tempo, la possibilità che la sua memoria sia stata distorta dal dolore e dalla solitudine rende ancora più tragica e umana la sua figura.

Bertrande non è solo una moglie ingannata, ma anche un personaggio che incarna il conflitto tra verità e illusione, tra bisogno personale e aspettative sociali. La sua ambiguità la rende una figura straordinariamente moderna e universale, capace di parlare al lettore contemporaneo. È lei, in ultima analisi, a dare profondità e complessità alla vicenda, perché attraverso di lei si esplorano non solo i meccanismi sociali e legali dell’epoca, ma anche le fragilità e le contraddizioni che definiscono l’essere umano, in generale, e la donna, vittima del sistema patriarcale che, nonostante le restrizioni imposte dal luogo e tempo in cui vive, riesce ad affermare sé stessa agendo scrupolosamente. Credo infatti che l’intento dell’autrice, nel connubio tra realtà storica e finzione narrativa, non fosse quello di dipingere una donna debole, ingenua, ma al contrario di caratterizzare una figura femminile capace di usare le sfide che le vengono poste dinanzi a suo vantaggio.

In definitiva, ritengo che il caso narrato dall’autrice abbia influenzato non solo la percezione del passato, ma anche il modo in cui vengono tramandate storie che, pur essendo radicate in un’epoca lontana, rimangono sorprendentemente attuali, trasformandosi in strumenti per interrogare il presente e immaginare il futuro.

Di Maria Giulia Arcoria

Maria Giulia Arcoria, studentessa universitaria con la passione per la scrittura. Ha imparato ad apprezzare il linguaggio e il valore delle favole sin da bambina, leggendo i suoi autori preferiti, tra cui Jill Barklem, scrittrice e illustratrice britannica, nota principalmente per la serie di libri per bambini Boscodirovo, e Gianni Rodari, noto scrittore, pedagogista e poeta italiano. Scrive racconti per passione. Ha pubblicato per Sicilia Buona racconti, diversi articoli di approfondimento su temi di attualità e recensioni di libri. Sogna di trovare la sua strada nel mondo e di lavorare con i bambini. Sogna, inoltre, di pubblicare presto le sue favole e di poter raggiungere con l’arte della parola l’immaginazione ed il cuore di tutti i bambini del mondo.