Ora che la vicenda di Cecilia Sala si è conclusa felicemente, ci sia consentita una riflessione sul modo in cui essa è stata trattata dalla stampa italiana
Nei giorni scorsi ci ha colpito il fatto che parlando di lei, tutti i commentatori italiani che abbiamo sentito in televisione e alla radio, qualunque fosse il loro orientamento politico, hanno sempre abbinato al suo nome la sua professione di giornalista.
È stato naturale chiederci se era solo un normale riflesso condizionato di tutte le categorie professionali, quello che porta a enfatizzare il proprio ruolo e quello dei propri colleghi nella società, implicitamente considerando meno importanti tutti gli altri. Ma come sarebbe stata trattata tutta la vicenda se anziché una giornalista, Cecilia Sala fosse stata avvocato, medico, studentessa o altro? Perché sottolinearne l’appartenenza professionale, dimenticando che era ed è innanzitutto una cittadina italiana, che solo per questo meritava la massima attenzione, solidarietà e tutela da parte nostra?
Se non fosse stata una giornalista, ne avrebbero parlato meno e con meno enfasi? Avrebbe avuto meno diritto all’interessamento delle nostre istituzioni?
Se – peggio ancora per alcuni – fosse stata un’attivista per i diritti civili, come se ne sarebbe parlato? Molti, ci possiamo scommettere, sicuramente avrebbero detto e scritto che se l’era andata a cercare!
Comunque sia, quel che conta è che Cecilia Sala sia tornata a casa, ma non possiamo non ricordare chi a casa non è tornato. Chi, a nove anni dalla sua tragica fine in un’altra dittatura, ancora non ha avuto giustizia.
Ci riferiamo a Giulio Regeni, sequestrato, torturato e ucciso in Egitto nel 2016, per il quale il suo paese non ha fatto niente, a parte richiamare l’ambasciatore per pochi mesi. Dopo di allora i governi italiani via via succedutisi, compreso quello attualmente in carica, non hanno fatto niente per esigere dall’Egitto che gli assassini – nel frattempo individuati dalla magistratura italiana, ma sicuramente ben noti alle autorità di quel paese – venissero estradati, per sottoporli a un giusto processo.
Tutt’altro! I governi italiani, l’attuale e i precedenti, hanno continuato a fare affari con una dittatura complice dell’orribile uccisione di un nostro connazionale.
Giulio era ricercatore all’università di Cambridge, era un “cervello in fuga”, e forse la sua colpa era di essere cittadino di un paese di serie B, un paese che prima non riconosce i meriti dei suoi figli di valore, costringendoli ad emigrare, e poi non li tutela neanche da morti.
GIUSTIZIA PER GIULIO REGENI