Max ha un suo mondo ostinato dove gli odori sono i sensori che guidano i suoi cambi di direzione. È difficile prevedere uno scarto a destra o a sinistra, un improvviso stop oppure una forte accelerazione verso un obiettivo. L’esplorazione visiva passa in secondo ordine. Non importano le strade dissestate, i balconi pericolanti, le sirene dell’ambulanza o le liti tra gli automobilisti. Lui segue un suo percorso olfattivo che lo porta a soddisfare tutti gli altri sensi. Non importa se c’è la pioggia o il vento, caldo o freddo, neve o grandine. Il tempo metereologico può forse influire sulla lunghezza del viaggio, non sul risultato della ricerca.

Max mi costringe a puntare gli occhi verso cose invisibili, mi suggerisce una diversa prospettiva di valutazione, mi sposta in territori dove le facoltà razionali sono sostituite dall’intuito puro. A volte sembra comunicare con fantasmi, con persone assenti. Fissa le sue pupille come per cercare di mettere a fuoco il nulla. Che cosa vede? È un’ombra, un riflesso del sole tra gli alberi, un veloce passaggio di nuvole? Non credo sia questo. Gli elementi che sta scrutando sono inimmaginabili.

C’è la partita della nazionale e le strade sono semideserte. Qualche ritardatario brucia i semafori rossi per arrivare a non perdere l’inizio dello spettacolo. Dai balconi corrosi dalla muffa del tempo spunta qualche bandiera augurale, l’orgoglio del tricolore esibito per i grandi avvenimenti sportivi. In una veranda al primo piano si sistema l’antenna parabolica per rendere perfetta la visione. Pezzi di intonaco mi sfiorano le spalle, costringendomi a tirare il guinzaglio e portare Max su traiettorie a lui non gradite.

Max ha 7 anni e pesa 40 kg. È un golden retriever piuttosto robusto per la sua razza, con origini spagnole. Il suo pedigree è impeccabile come conferma la radiologia della sua anca. Pur essendo un retriever, Max non riporta indietro una beata “cippa”. Ho provato a lanciargli un bastoncino o qualche altro giochetto cinofilo: lui lo aggancia e se lo porta via nella sua cuccia. A volte mi guarda con aria di compatimento e mi trasmette il concetto: troppa fatica. Si mette a fare una strana smorfia con un lato del muso e sembra dirmi: “Dammi il biscottino e non metterti a pensare così lontano”.

Max si rianima quando esce fuori. È irruento nell’andatura ed è molto attratto dagli esemplari della sua specie. Una ragazza con un chihuahua si lascia distrarre dal suo cellulare e sta puntando dritto verso di me. Vorrei avvisarla in qualche modo che i nostri cani stanno per entrare in collisione. Lei continua a chattare finché i due guinzagli si cominciano ad aggrovigliare perché i due animali stanno giocando con una danza circolare. Io fatico a tenere Max in una posizione che eviti lo schiacciamento del chihuahua. La mia cuffia dei rotatori sta per saltare, ma fortunatamente la ragazza si accorge del pericolo e fa uno scarto di lato. I nostri occhi si incontrano e c’è qualche secondo di troppo che sembra anticipare una possibile conversazione. Lei è bionda, molto abbronzata e vestita di bianco panna. Ha degli stivaletti neri che arrivano poco sopra la caviglia. Le unghie sono molto curate e con uno smalto nero lucido. Abbozza un sorriso che fa risaltare degli occhi color acqua marina. Sembra attratta dalla mia figura longilinea, dai miei modi garbati. Prima che io possa provare ad indagare viene trascinata via dallo squillo del suo cellulare. Si allontana voltandosi un’ultima volta con un cenno di rassegnazione. Il chihuahua abbaia ferocemente. Max non lo degna di una minima risposta. Insegue uno stupido piccione che zigzaga quasi a provocarlo. Io faccio lo slalom tra le cacche di altri cani, l’odore della spazzatura marcia, non raccolta da giorni, mi fa montare la nausea. Quel cumulo piramidale di plastica, ortaggi andati a male, cassette di frutta putride, è un monumento agli scaduti.

È il periodo dei forasacchi, sto attento che Max non ne respiri qualcuno e mi costringa al pronto soccorso veterinario. L’anno scorso uno di questi si era infilato tra le unghie della sua zampa sinistra. Ci ho messo tre ore con pinza e ago per tirarlo fuori, con Max che tremava di paura e cercava riparo in qualche angolo della casa. Ad un certo punto si è messo a guaire, quasi a implorare pietà. Ho condotto a termine l’operazione professionalmente senza mostrare segni di cedimento. Max ama invece la pioggia per un semplice motivo: sa che al ritorno a casa lo aspetta il telo di spugna che lo asciuga. Quando lo strofino per bene si stiracchia rilassato. Il massaggio globale corporeo è un momento di pura gioia.

Le vie sono diventate più deserte ed è possibile sentire una radiocronaca di fondo della partita. Ogni tanto qualche azione più pericolosa crea un certo stato di tensione che cresce con il volume della voce del cronista. Max se ne frega altamente e cerca di marcare il territorio alzando la zampa e schizzando pipì in determinati punti che, collegati insieme, rivelano un’area di sicurezza. Territorial Pissing. Poi comincia a girare in tondo, una prima volta, una seconda, una terza.
Si accerta non ci sia alcun pericolo e poi si accovaccia a zampe leggermente divaricate. Si sente una voce gridare “calcio di rigore!”. Max in tutta risposta evacua in due tempi contraendo i muscoli della regione anale. Io mi precipito con il mio sacchettino verde per recuperare gli escrementi.

Faccio una cinquantina di metri: un cestino è divelto, un altro è zeppo di rifiuti, il terzo sembra potere accogliere gli amabili resti. Riesco a fare canestro evitando l’ennesimo strattone laterale di Max che mi tende tricipiti ed adduttori. Evito la caduta roteando su me stesso e portando il guinzaglio dal lato giusto. Sento il ginocchio scrocchiare ma evito la distorsione non opponendo resistenza al movimento. Sembro un pattinatore sul ghiaccio, basta un errore di calcolo e mi ritrovo con il culo per terra. Ma sono giovane e ho ancora una buona dotazione muscolare. Molti padroni di cani sono ricoverati nelle ortopedie. Io però un dito me lo sono rotto. Max aveva fretta di uscire ed io aprendo il portone ho sentito il dito incastrarsi nella serratura. Me lo hanno steccato male. La falangetta dell’anulare destro è rimasta storta, extra-ruotata. Mi sono affezionato a questa imperfezione, mi ricorda la pericolosità nell’opporre resistenza ad oltranza.

C’è un urlo tremendo, un boato scuotente. L’urlo si diffonde come un’onda in tutta la città. L’Italia ha segnato. Max si ferma, non è interessato al trionfo collettivo ma fiuta un pericolo. Mentre stiamo attraversando la strada, lui si blocca, si protende un poco in avanti, solleva una zampa in segno di esitazione. Poi fa una piroetta su sé stesso e ritorna indietro trascinandomi verso il marciapiede.
Prima di protestare il mio disappunto, si apre una immensa voragine nella strada.
Un cratere enorme ingoia subito due macchine; un motorino cerca di schivare la frana ma l’avvallamento dell’asfalto fa da effetto catapulta e il conducente fa un volo di venti metri in avanti per atterrare sulla sua faccia. Si rialza subito, ma sanguina vistosamente dalle guance e dalle sopracciglia. Un pezzo di labbro è semi-staccato e sgocciola penzolando di lato. Max comincia a correre in direzione opposta all’incidente in maniera forsennata. Io seguo la sua cavalcata a passi rapidi e frenetici.

Comincia a mancarmi un po’ il fiato. Adesso le vie si popolano di gente, la folla accorre nel luogo della catastrofe. Io e Max corriamo controcorrente, facendoci spazio tra la gente indifferente. Non so se è un problema di ossigenazione ma comincio a vedere qualcosa di strano. Mentre Max corre sembra ringiovanire. Più salta in avanti più sembra rimpicciolire rispetto al guinzaglio. Dopo cento metri di corsa è tornato a tre anni di età. Il collare antipulci gli sta larghissimo. La catenina di riconoscimento è sul punto di staccarsi. Il suo pelo diventa più bianco e più corto. La corporatura più esile. Gli occhi quasi da neonato. Va ancora più veloce e diventa un cucciolo bellissimo, si libera di collare e guinzaglio e sparisce alla mia vista. Io mi sono fermato, con il cuore che mi sta scoppiando dentro il petto. Mi appoggio esausto ad una vetrina e mi accorgo che la sagoma di Max si è persa nell’orizzonte. Guardo attonito la mia immagine riflessa sul vetro e mi scopro invecchiato di colpo. Ho i capelli tutti bianchi e la faccia accartocciata dalle rughe. I miei occhi sono sbiaditi e non riflettono la luce di un tempo. Ho le spalle incurvate e la mia figura non è più longilinea. La gente passa di lato e non se ne accorge. I vestiti mi vanno stretti, ho una pancia strabordante e le caviglie gonfie. Le ginocchia non mi reggono molto e faccio fatica a muovermi. Perdo urine quando tossisco e comincio ad incespicare sulle parole. Capisco perché non ho seguito più Max quando ha continuato a fuggire. È stato un momento di rivelazione, la capacità di potere fare tornare indietro il tempo con il solo atto del ricordo. Penso alla bellezza del gesto, alla precisione della visione, alla inutilità del contesto. Crollano le strade, cadono a pezzi i balconi, spariscono i punti di riferimento.
Ciò che mi guida dalla parte opposta della ragione è l’intuito puro. Una terra di fantasmi che abbraccio senza più paura. Una terra senza bandiere e confini in cui la luna indica l’asimmetria del dito. Penso alla giovinezza eterna di Max e sono felice di averlo lasciato libero.

“MAX” di Fabio Fulfaro

Il racconto Max si è classificato al quarto posto tra i racconti originali nel Concorso Raccontami una Storia 2 sotto il patrocinio dell’associazione Onlus L’Arcobaleno di Elena sotto la direzione artistica di Filippo Moretti. Il racconto è stato pubblicato nel dicembre del 2024 nel volume 1 dell’antologia Raccontami Una Storia 2 edito da Filippo Moretti 2024 e L’Arcobaleno di Elena Onlus 2024. Il volume è reperibile nelle librerie e nelle piattaforme on line.