Maurizio Piscopo intervista lo scrittore e artista Alfonso Lentini, autore del libro Noi siamo i lupopesci (collana Glossa, Pièdimosca edizioni, 2024)
Conosco Alfonso Lentini da moltissimi anni. Fa parte di un gruppo di prestigiosi intellettuali visionari favaresi di prim’ordine come Antonio Patti, Antonio Liotta, Giuseppe Nicotra, Rino Garraffo che ho seguito sin dagli anni giovanili in un paese difficile e amaro. Più volte l’ho invitato a collaborare nell’avventura della scrittura, come per esempio in Musica dai saloni (Nuova Ipsa 2009). La scrittura di Alfonso Lentini è trasversale e riguarda anche opere verbovisive, in essa lo scrivere diventa un deragliamento, una necessità, una «pulsazione biologica di cui- dice lui stesso in un’altra intervista – come il respiro, non posso a fare a meno».
Ha scritto Gianluca Garrapa: «La scrittura di Alfonso Lentini è attraversata da spirali, da salite e da discese sovvertite, da continui movimenti sussultori, inversioni surreali stralunate che partono comunque da un sostrato fisico e concreto pur divergendo in rotte ironiche e a tratti comiche. (…) In questo senso il suo nuovo libro Noi siamo i lupopesci è un oggetto geometrico impossibile come potrebbe esserlo un disegno di Escher. (…) La scrittura desiderante e sperimentale di Alfonso Lentini ci fa sentire l’importanza di rischiare, per mantenerci in vita, e di osare oltre il confine della chiacchiera predeterminata e schiavizzante».
L’Intervista
D: Quando nasce il tuo libro “Noi siamo i lupopesci”? A chi si rivolge?
R: Il libro, che è composto di testi brevissimi e dissonanti, nasce(come del resto altri miei libri) da un acceso battibecco tra viscere e cervello. Ma nasce soprattutto dalla mia predilezione per la scrittura frammentaria e inconclusa, che – senza pretendere di raccontare fedelmente il mondo – si limita a coglierne qualche spicchio da una prospettiva laterale. Di conseguenza si rivolge ai lettori che non si accontentano della scrittura convenzionale, non certo a chi legge solo per sapere “come va a finire” o che cerca libri “tratti da una storia vera”. Potrà interessare invece i lettori curiosi, aperti, spregiudicati. E devo dire che, stando ai tanti riscontri, il libro (pur essendo stato pubblicato da un piccolo editore indipendente e dunque con limitata presenza nelle librerie) sta intercettando molti lettori proprio di questo genere!
D: Puoi commentare questa frase: “Ciò che è normale per il ragno è caos per la mosca”?
R: Questa frase, attribuita a Morticia ( personaggio della famosa fiction “La famiglia Addams”), ho voluto riportarla come esergo (cioè come frase introduttiva) del mio libro, accostandola però a un verso dantesco («ma tu che sol per cancellare scrivi»). Mi interessava far cozzare la cultura “bassa” delle fiction americane con la cultura “alta” di Dante per mandare fin da subito un segnale a chi si accinge alla lettura:sottolineare cioè l’intenzione di uscire dagli schemi e alludere alla pluralità dei riferimenti culturali di cui il libro è popolato. In particolare la frase di Morticia fa pensare al capovolgimento dei punti di vista, alle percezioni sbilanciate, mentre il verso di Dante (se avulso dal contesto in cui è stato scritto) allude al gesto dello scrivere come “cancellatura”, azione sottrattiva e dissonante, simile per certi versi ai “libri cancellati” di Emilio Isgrò, un artista che ammiro molto. Quello che nel mio libro intendevo “cancellare” è la scrittura referenziale, passivamente mimetica, che pretende di offrire interpretazioni preconfezionate della realtà.
D: La sezione di apertura del tuo libro, “Scale”, mi ha fatto riflettere e sognare. Quante scale deve salire un uomo nella vita e quanti scalini può contare?
R: Eh, infinite scale, infiniti gradini… Oppure, montalianamente, “almeno un milione di scale”!
D: Dove si trova la scala di Giacobbe?
R: La scala di Giacobbe è una evidente citazione di una delle pagine più visionarie della Genesi, dove si racconta che Giacobbe avrebbe visto in sogno una scala lunghissima che univa terra e cielo, attraversata da angeli che salivano e scendevano. Non saprei dirti di preciso come mai sia finita nel mio libro, forse perché anche nel mio libro vi è qualche ambizione visionaria.
D: Come fa un pianista a suonare senza le scale?
R: Non so dirti. Ma è certo che la bellissima pianista di cui si parla nel libro “suona e si mette a fare le scale”. Non si sa, poi, se siano esattamente scale musicali o scale di altro genere. Sta di fatto che dal suo appartamento “provengono suoni celesti. (…) E nell’aria si diffonde una ninna nanna dolcissima tutta fatta di scale”.
D: Cosa succede di notte con le scale? Hai scritto che di notte anche le stelle diventano “consenzienti”…
R: Sempre nella sezione “Scale”, si racconta di un personaggio che preferiva avventurarsi verso l’alto usando le scale dei pompieri che, essendo telescopiche, sembrano potersi allungare all’infinito. E gli piaceva salirle di notte, quando “le stelle si facevano più consenzienti”. Devi considerare che questi microracconti, pur nella loro voluta enigmaticità, sono pieni di allusioni metaforiche, o comunque si prestano a interpretazioni non letterali: qui mi sembra evidente il riferimento all’esperienza ascetica, al cammino spirituale (più o meno contorto, più o meno consapevole) che attraversa le vite di tutti noi. La notte e il buio invitano all’esplorazione del mistero e le stelle con le loro lucette che provengono da spazi lontanissimi sembrano voler favorire queste esperienze. Tuttavia, riducendo in questo caso l’esperienza ascetica a una scenetta quasi grottesca, ho voluto ridimensionare un po’ la pretenziosità di noi umani. Non penso però che sia utile scoprire troppo le carte. Le metafore, quando ci sono, sono aperte e mutidirezionali e il gioco consiste proprio nel lasciare al lettore il gusto di intervenire attivamente con la sua libertà interpretativa. Altre volte, invece, può essere piacevole limitarsi a godere dello spiazzamento e accettare il nonsenso.
D: Salire e scendere una scala, qual è la differenza?
R: Nessuna: si può salire scendendo e scendere salendo, come ci insegnano il neoplatonismo e la filosofia di Cusano con il concetto di “coincidentiaoppositorum”… E questo lo sa bene quel mio personaggio che sale sulle scale mobili all’incontrario. Cito dal libro: «Ogni volta è una sfida elettrizzante: salire salire salire, mentre i gradini scendono scendono scendono. (…) è come vedere l’alba in un tramonto, diciamo».
D: Scalatori si nasce o si diventa? Esistono montagne nane? Perché tante montagne in questo tuo libro?
R: In effetti, una parte consistente di questo libro parla di montagne. La stessa evidente equivalenza fra “scale” e “scalare”, l’aver dedicato tutta la prima sezione del libro a persone che si muovono dal basso verso l’alto, aver inventato storie riguardanti montagne “nane”, montagne che invecchiano, muoiono e rinascono, montagne che cercano accoglienza in un ufficio di oggetti smarriti, ecc, tutto questo ha origine da una mia esperienza reale, cioè dal fatto che Belluno, la città dove vivo ormai da moltissimi anni, è circondata dalle Dolomiti, le montagne forse più belle del mondo.Qualcuno ha detto che siamo “portatori” del nostro paesaggio (nel senso che lo interiorizziamo sino a farlo diventare parte di noi stessi), Sciascia parlava di “Sicilia come metafora”. Io sono nato in Sicilia ma, vivendo fra le Dolomiti che ormai sento mie, ho nelle vene la loro grande forza evocativa e ne faccio uso con naturalezza nella mia scrittura.
D: Perché in questo mondo gli uccelli sono più fortunati degli uomini?
R: In un brano, forse fra i più curiosi (perché consiste in una vera e propria preghiera… piuttosto bizzarra, ma non certo blasfema),si accenna al fatto che Dio avrebbe donato agli uccelli un’innata felicità. Il contesto in cui il concetto è inserito può forse fuorviare, ma in sostanza si tratta di una serissima citazione leopardiana, tratta delle Operette Morali.
D: Si può rubare la propria ombra?
R: Anche questo è un rimando letterario. Scrivendo, avevo ben presente la “Storia straordinaria di Peter Schlemihl” di Von Chamisso, dove si racconta di un personaggio che, appunto, è privato della sua ombra e questo finisce col rovinargli la vita. Quando scrivo mi piace divertirmi a nascondere qua e là riferimenti letterari e citazioni, a volte stravolgendone il senso. Però non si tratta solo di un divertimento: tutta l’arte e la letteratura non sono altro che un gioco di specchi, di rimandi testuali. Anche per questo sono convinto che per poter scrivere bene è necessario leggere molto.
D: Se i bambini potessero votare per chi voterebbero?
R: Un personaggio di questo libro non avrebbe dubbi: il “partito del ventilatore”! Ma i bambini, essendo per loro natura anarchici, credo che rifiuterebbero qualsiasi sistema elettorale, e se proprio dovessero farlo, forse voterebbero per qualche filosofo presocratico (ammesso che quel filosofo si volesse candidare). Dico questo perché la filosofia delle origini (e nel complesso tutta la migliore filosofia) non fa che cercare risposte alle domande che nascono spontaneamente nella testa di ogni bambino: qual è il limite dell’universo? cos’è il nulla? cos’è il tempo? Perché si muore?
D: Cosa succede se Dio si mette a scrivere?
R: Forse lo sta facendo davvero: tutti noi, Lupopesci compresi, siamo personaggi di un potente romanzo che Dio va scrivendo da alcuni miliardi di anni. Abitiamo nella mente di Dio, che è una gabbia sconfinata. È la sua scrittura che ci fa esistere.
D: Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
R: In attesa di un mio prossimo libro o di una prossima mostra, mi sto preparandoa un viaggio interplanetario alla ricerca di mondi abitati da esseri meno stupidamente autodistruttivi dei terrestri. Però, sia chiaro: prenderò una rotta opposta a quella delle astronavi di Elon Musk!
Biografia Alfonso Lentini
Alfonso Lentini è nato a Favara (Ag) nel 1951. Laureato in filosofia, si è formato nel clima delle neoavanguardie del secondo Novecento frequentando, giovanissimo, l’area di autori che a Palermo facevano capo alle riviste Fasis e Per approssimazione.
Dalla fine degli anni Settanta vive a Belluno, dove ha insegnato letteratura italiana e storia.
Si occupa di scrittura, arti visive e ricerca verbovisuale. Fra i suoi libri: Noi siamo i lupopesci (collana glossa a cura di Carlo Sperduti, pièdimosca 2023), Le professoresse meccaniche e altre storie di scuola (con tre righe augurali di Ermanno Cavazzoni, Graphofeel, 2019), Tre lune in attesa (postfazione di Giovanni Duminuco, premio Formebrevi, ed. Formebrevi, 2018),Illegali vene (prefazione di Eugenio Lucrezi, Collana Cento d’Autore, Eureka, 2014) Luminosa signora (postfazione di Antonio Pane, Pagliai, 2011), Cento madri (premio Città di Forlì, postfazione di Paolo Ruffilli, Foschi, 2009), Piccolo inventario degli specchi (prefazione di Antonio Castronuovo, Stampa Alternativa, 2003), La chiave dell’incanto (postfazione di Alessandro Fo, Pungitopo, 1997), L’arrivo dello spirito (con Carola Susani, Perap,1991). Insieme ad Andrea G. G. Parasiliti ha pubblicato online A scuola su una nuvola. Fra libri d’artista, asemicwriting& scrittura irregolare (CRELEB dell’Università Cattolica di Milano, 2022).
Suoi lavori visivi, racconti e poesie sono usciti con esoeditori come Pulcino elefante, Fuoco fuochino, Babbo morto, Lettere S.Com.Poste, Minima|poesia o in edizioni autoprodotte in forma di libri d’artista.
Con saggi e recensioni si è occupato di scrittori e artisti “irregolari” come Angelo Maria Ripellino, Antonio Pizzuto, Dino Buzzati, Filippo Bentivegna.
Ha collaborato e collabora con riviste fra cui Anterem, Ballyhoo – Quotidiano dei Poeti, Colophon,L’immaginazione, L’Indice, Quaderni del Collage de ‘Pataphisique, Stilos, Terra del Fuoco, Testuale, Zeta e, in rete, BacBac, La morte per acqua, La Recherche, Le reti di Dedalus, Mirkal, MrDedalus, multiperso, Niederngasse, Poème de Terre, Utsanga.
È uno dei principali autori del quotidiano di scritture online Il cucchiaio nell’orecchio, fondato nel 2017 da Francesco Gambaro e attualmente diretto da Gaetano Altopiano.
In occasione della Fiera del Libro di Francoforte del 2024, sue microscritture sono state tradotte in tedesco e pubblicate nella rivista online Faust Kultur.
Nelle sue mostre e installazioni propone “poesie oggettuali”, poesie visive, scritture asemiche, libri oggetto. La sua prima personale risale al 1976.