La violenza psicologica non è visibile ma uccide
di Anna Lisa Maugeri
La violenza fisica fatta di schiaffi, calci, spintoni è facilmente verificabile, è riconoscibile come violenza vera e propria perché a parlarne è il corpo delle donne, una tela fragile sulla quale ogni livido è la rappresentazione più loquace dell’inferiorità oggettiva di che ne ha provocato i segni. C’è comunque un tipo di violenza subdola, silenziosa e spesso equivocata dalle stesse vittime, come anche da chi ne è testimone: la violenza psicologica.
Secondo dati recenti, tra le donne che subiscono violenza di genere il 34,1% è vittima di violenza psicologica (dati 1° trimestre 2022).
Gli uomini che più spesso usano violenza psicologica sulle donne sono proprio i mariti e i fidanzati, non solo gli ex, ma i compagni che condividono quotidianamente il tempo della propria vita con “l’amata”, la donna della quale credono di poter possedere, fare e disfare tutto: il tempo, le abitudini, i rapporti sociali, le ambizione, le azioni, i pensieri.
La questione Coronavisrus ha catalizzato l’attenzione di televisioni, giornali e informazione sul web per mesi, mesi nei quali ci siamo fatti bastare gli spazi a volte troppo angusti fra le mura domestiche, uscendo fuori lo stretto necessario, rinunciando agli abbracci e alle strette di mano, abituandoci al distanziamento sociale. I lunghi giorni del lock-down sono stati estenuanti per tutti, ma li abbiamo affrontati tenendo a mente il traguardo da raggiungere: la fine dell’emergenza sanitaria, la fine dei divieti e il ritorno graduale alla normalità.
Per qualcuno sono stati mesi molto più angoscianti rispetto ad altri. Le mura domestiche non hanno assolto al compito di essere il luogo sicuro entro cui rifugiarsi, piuttosto sono diventate una prigione più severa dentro la quale scontare una pena senza aver commesso nessuna colpa. Per qualcuno il lock-down della propria vita non ha date di scadenza.
Riconoscere la violenza psicologica
La violenza psicologica è forse il tipo di violenza meno riconoscibile ed è pericoloso proprio per questo: è un parassita invisibile che si insidia nella mente e nell’anima, distrugge la voglia di fare, di sognare di vivere, rende più bui e dolorosi tutti i giorni.
Come un copione sempre uguale
Inizialmente scambierete la sua morbosa presenza nella vostra vita per attenzione e cura di voi. Confonderete la sua gelosia per una dimostrazione di ammirazione: quanta bellezza vede in voi, quella che probabilmente voi per prime non vedete guardandovi allo specchio.
Credete che lui pensi a voi come la donna più bella e desiderabile agli occhi di qualunque uomo sulla faccia della terra, ma non è ammirazione: si tratta semplicemente della sua percezione viscerale e malata di quanto voi gli apparteniate.
Sarà un crescendo, dal momento della prima attenzione che gli dedicherete. Se è un uomo possessivo, se il suo è un amore malato, ed il termine amore in questo caso è indubbiamente abusato, a poco a poco, riceverete critiche, sarete giudicate nel modo di vestire, nel modo di interagire con gli altri, nei rapporti sociali, specie con gli amici o i colleghi di sesso maschile, vi farà sentire sbagliate, inferiori, stupide, troppo sorridenti, troppo espansive, troppo ambiziose, troppo tutto.
Sarete troppo per lui, ed è per questo che, invece che riconoscere di non essere alla vostra altezza, cercherà di contenere e reprimere il bello e il meglio che c’è in voi, la vostra bellezza così come la vostra intelligenza.
Se brillerete in qualcosa, lui con le sue critiche tenderà a spengervi. L’uomo inferiore (non utilizzerò altri termini che potrebbero essere più adatti, ma anche più offensivi) deve ritrovare e dimostrare un barlume di superiorità denigrandovi, avvilendovi in ogni modo possibile, perché intimamente e segretamente vi odia.
L’odio di un uomo che siede alla vostra tavola, che cammina al vostro fianco, che dorme con voi nel vostro letto, è l’odio di un nemico perpetuo che escogita giorno dopo giorno la propria vendetta nei vostri confronti, mascherando persino a sé stesso questo suo sentimento, poiché è un’azione quotidiana della quale è cosciente e consapevole, a tal punto da riconoscerne lo squallore e doverlo mascherare in amore.
Odio di genere contro le donne: la definizione mancante
È una guerra non di genere, non fra uomo e donna, non lo scontro di due epoche, quella dell’era moderna che vede le donne più autonome e quella degli uomini con una visione un po’ troppo antiquata che le vorrebbe ancora relegate al focolaio familiare.
Queste spiegazioni sono tutte assurdamente riduttive. È una questione di odio di genere, al pari dell’omofobia e del razzismo. “Femminicidio” è il nome che identifica l’atto in sé con il quale una donna viene privata del proprio diritto di vivere per mano di un uomo.
Non esiste, però, un termine ben preciso che identifichi l’odio di genere contro le donne. Forse è il momento di dare un nome a quest’odio, è un ulteriore sforzo da compiere perché basti una parola per racchiudere la gravità di un’idea e di un sentimento inaccettabili, una parola che definisca e identifichi tutto il male di cui un uomo può essere capace, anche senza uccidere fisicamente.
Si muore di violenza psicologica, si muore giorno dopo giorno, lentamente ed inesorabilmente, sopravvivendo. Le parole contano, servono, ed una sola parola mancante può lasciare la realtà di molte donne in sospeso, vite dal dolore silenzioso, senza giustizia, senza la forza necessaria per ammettere prima di tutto a sè stesse e poi agli altri “questa è violenza”.
ISTAT. I dati sulla violenza psicologica
Secondo un report ancora parziale dell’Istat, dal primo marzo al sedici aprile 2020, le chiamate al numero verde 1522 sono aumentate del 73% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, le richieste di aiuto arrivano ad un 59% in più. Questo aumento è “non attribuibile necessariamente a maggiore violenza, ma alle campagne di sensibilizzazione che hanno fatto sentire le donne meno sole“, precisa l’Instat.
Le donne, dunque, più consapevoli dei propri diritti e di cosa sia una forma di violenza di genere grazie alle campagne di sensibilizzazione, hanno preso il proprio telefono e composto il 1522 “non necessariamente” a causa di maltrattamenti subiti.
Di cosa stiamo parlando dunque? Di due chiacchiere al telefono per farci compagnia? Di un modo come un altro per ingannare le lunghe ed infinite giornate del lock down?
Non sarà la solita vecchia storia? Quella che se non presenti lividi evidenti, allora “non ti ha fatto niente”? Non hai sofferto abbastanza, non hai raggiunto il limite della sopravvivenza fisica e psicologica per poterti permettere di dire: sto subendo una violenza, ne sono vittima.
Report Istat recenti rivelano che in Italia, in una fascia di età compresa tra i 16 ai 70 anni, circa 7 milioni di donne hanno subito violenza di genere almeno una volta nella loro vita. Il 20,2% di esse ha subito violenza fisica, il 21% violenza sessuale e il 5,4% è stata vittima di stupro e di tentato stupro.
Se in molti casi a perpetrare tali violenze sono i compagni attuali, la percentuale sale per i casi in cui è l’ex compagno a usare violenza sulla donna che lo ha lasciato. Non mancano, purtroppo, le violenze da parte di colleghi di lavoro, familiari o conoscenti.
La cronaca, attraverso il web, i telegiornali e la carta stampata ha sempre descritto meglio di qualunque statistica la drammatica realtà raccontando storie di donne massacrate o uccise da uomini diventati bestie senza limiti, ma di violenza psicologica si parla ancora poca, è un fenomeno che non fa notizia.