BIOGRAFIA DI UN UOMO, GIORNALISTA,
Si chiamava Giuseppe Enzo Domenico Fava, ma per tutti era semplicemente Pippo.
Pippo Fava nasce il 15 settembre del 1925 a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa. Giornalista, scrittore, saggista, drammaturgo e sceneggiatore, ma anche imprenditore, mente e anima del Giornale del Sud e de I Siciliani.
La storia di Pippo Fava è fatta di opportunità, quelle avute e quelle date, quelle a lui negate, tra licenziamenti e censure, ma anche di progetti realizzati per volontà e resistenza. Lo spirito imprenditoriale di Fava non era certo una questione di profitto, ma di valori.
Una vita, la sua, che ci lascia in dono un patrimonio immenso, non solo i suoi articoli, le inchieste, la sua scrittura semplice e il linguaggio denso, il teatro, l’impegno civile. Per raccontarlo davvero non si può parlare solo del giornalista, ma dell’uomo, un uomo alla ricerca della verità e mosso da grandi ideali.
Certe vite si distinguono dalle altre perché hanno qualcosa di eccezionale che si esprime nella forza dirompente delle idee e delle scelte, quelle più impegnative ma portate avanti con naturalezza, con semplicità. Pippo Fava sembrava non curarsi dei rischi collaterali delle sue inchieste e delle sue parole, ma forse nascondeva bene i suoi timori. Certamente era un uomo all’altezza dei propri valori e sapeva mantenere fede alla regola della coerenza.
Certe storie raccontano di coraggio
Io nascevo, vivevo il mio primo anno di vita. Lui, Pippo Fava, viveva l’ultimo. Certe storie raccontano di coraggio in maniera così chiara che non puoi non capirlo, ne resti affascinato e ne tieni conto per il resto dei tuoi giorni.
In un Paese che per mano della mafia ha sanguinato troppe volte e che ne porta addosso ancora oggi le cicatrici, la verità e l’onestà dovrebbero essere valori condivisi, indiscutibili, così come il principio di legalità per garantire a tutti pari opportunità, crescita e una migliore qualità della vita.
Invece, va a finire che un intero sistema sociale e politico con il crimine ci fa gli affari, ancora oggi, a discapito di tutti, e così, oggi come allora, chi vive e difende concretamente determinati valori, pagandone le conseguenze, è un eroe. Ciò che dovrebbe essere normale, diventa eccezionale.
E si parla di eroi
E si parla di eroi, quella specie rara che sta fra gli uomini e le divinità, che senza superpoteri e senza garanzie di un lieto fine, vive vite vere che forse un giorno saranno film postumi alla loro memoria. Nell’attesa, la sceneggiatura si compie, accade ad ogni passo, e non si può ripetere nessuna scena, si improvvisa la vita.
Nessuna anteprima, impossibile conoscere in anticipo il finale, malgrado a volte lo si riesca ad intuire. Gli eroi vivono e agiscono senza sapere di esserlo. Però io li immagino nei loro tormenti prima di riuscire a prendere sonno, una nuvola di pensieri e di incognite che annebbiano la mente e li fa sentire soli nell’oscurità della notte. Poi, al mattino, nell’istante stesso in cui si ridestano e aprono gli occhi, sanno.
Sanno che non avranno altro modo di scegliere, se non per coerenza, di vivere, se non facendo il proprio dovere, di essere ciò che sono. Così, continueranno a vivere come il giorno precedente, perché così è giusto fare, non vi è dubbio.
A noi non resta che scegliere da che parte stare, chi vogliamo essere, chi eleggere nostro mentore, eroe, “influencer” senza tempo. Anche io, dovendo sceglierne uno, scelgo Pippo Fava.
PIPPO FAVA, LA STORIA
L’omicidio di Pippo Fava
5 Gennaio 1984, ore 21:30: Pippo Fava ha appena lasciato la redazione del suo giornale. Con la sua Renault 5 va a prendere la nipotina in via dello Stadio a Catania, ma appena sceso dall’auto viene colpito da cinque proiettili calibro 7,65 all’altezza della nuca.
Alla nuca. Perché la mafia non ti guarda in faccia mai, soprattutto quando uccide, e se ti affronta a viso aperto lo fa nel buio della notte e in mezzo al nulla desolante intorno, come per Peppino Impastato, o dall’alto di un monte, a debita distanza, premendo un pulsante come per Giovanni Falcone, o ancora senza neanche lasciarti il tempo di uscire dalla tua auto e di guardarti in faccia come per il giornalista Beppe Alfano.
Solo con Padre Puglisi, accadde, forse per errore: l’assassino ebbe il tempo di guardare gli occhi della vittima, di sentire le sue ultime parole, e tanto bastò perché egli si pentisse e portasse per sempre nel cuore l’orrore e il senso vero del disonore per quanto era stato capace di compiere in cambio di denaro.
Intorno all’omicidio di Pippo Fava il solito nugolo di voci maledette, che certa stampa siciliana per prima alimentò e diffuse: “delitto passionale”, perché la mafia ci tiene tanto al movente passionale, è il piacere degli ominicchi dare tutti i morti ammazzati in pasto all’opinione pubblica come persone scandalose e un po’ perverse.
Poi, fu la volta dei soliti debiti, stavolta non per il vizio del gioco, ma per le condizioni finanziari di un giornale nuovo che per nascere e sopravvivere aveva avuto da combattere anche sotto l’aspetto finanziario.
I funerali
Gli furono negati i funerali pubblici. Né istituzioni e cariche pubbliche, né ministri al suo funerale, tanto meno fu presente l’allora sindaco di Catania, Angelo Munzone, che tanto si era adoperava per ribadire il concetto che a Catania la mafia non esisteva e che, insieme all’onorevole Nino Drago, sollecitava la chiusura veloce delle indagini, perché queste sciocchezze dei morti ammazzati per mano mafiosa rischiava di indurre gli imprenditori a lasciare l’isola e spostare le loro fabbriche al nord.
Nel 2003 la sentenza definitiva della Corte di Cassazione condanna all’ergastolo il boss mafioso Nitto Santapaola come mandante dell’omicidio e Aldo Ercolano come esecutore, mentre Maurizio Avola, reo confesso anch’esso nel ruolo di esecutore, condannato a sette anni patteggiati.
“I mafiosi stanno in Parlamento”
“I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, sono quelli che in questo momento sono ai vertici della Nazione” diceva Pippo Fava, perché le mani armate che sparano, quelle che piazzano bombe, premono i pulsanti per far esplodere ordigni e uccidono, sono semplici esecutori.
La macchina mafiosa, già lo diceva allora Pippo Fava, è enorme, gigantesca, muove montagne di denaro da un continente all’altro, ha un giro di affari che supera i bilanci dello Stato Italiano, passa per le banche, fa alleanze che la fantasia si rifiuterebbe di immaginare.
Oggi ancora più di allora è una mafia “pulita”, perfezionata, preservata il più possibile nell’apparenza, viva e attiva fin dentro al midollo delle istituzioni e delle alte cariche dello Stato, così difficile a volte da individuare.
Pippo Fava lascia un’eredità immensa, la sua personalità, le sue idee, l’insegnamento che la verità scovata e raccontata è l’unica via possibile verso la libertà di un popolo, tutto inciso nero su bianco fra articoli e inchieste, interviste a uomini mafiosi, opere teatrali, il suo grande lavoro fra radio, carta stampata, per Il Giornale del Sud e poi per la sua rivista I Siciliani.
Lo spirito di un giornale
Nel suo ultimo articolo intitolato Lo spirito di un giornale, scritto proprio per Il Giornale del Sud e che gli costerà il licenziamento, scrisse:
“Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane.”