Dal 5 maggio gli impianti di Telejato sono spenti. Ad annunciarlo in un video è stato lo stesso Pino Maniaci, direttore di Telejato.
L’emittente televisiva di Pino Maniaci non è rientrata nella graduatoria per l’assegnazione delle nuove frequenze.
Si tratta del processo di transizione del sistema radiotelevisivo dal vecchio al nuovo digitale terrestre di seconda generazione.
Insieme a Telejato si spengono circa 400 emittenti locali in tutta Italia, 60 solo nella regione Sicilia
Pino Maniaci: “Stavolta a metterci i bastoni fra le ruote non è né la mafia né la falsa antimafia ma lo Stato
Pino Maniaci ai microfoni di Sicilia Buona: “L’Italia è un Paese democratico fondato sul lavoro, ma in questo caso il lavoro lo fanno perdere ai lavoratori. L’articolo 21 della Costituzione dice che in Italia c’è libertà di stampa e libertà di espressione. Col cavolo! Così facendo si ostacola la libertà di stampa e di espressione, e lo sta facendo lo Stato. Per questo dico provocatoriamente che a chiudere Telejato non c’è riuscita la mafia, non c’è riuscito un pezzo dei tribunali corrotti, ma ci è riuscita lo Stato.”
Perchè Telejato e molte altre emittenti chiudono?
Ma quali sono le dinamiche e le motivazioni che hanno portato Telejato e molte altre emittenti radiotelevisive indipendenti alla chiusura? Quali sono stati i parametri applicati per valutare l’idoneità delle singole emittenti all’assegnazione delle nuove frequenze?
Sono solo i numeri e le cifre nei conti correnti bancari a decretare meriti e demeriti della libertà di stampa nel nostro Paese? E’ il denaro a determinare il diritto all’informazione?
Pino Maniaci ci spiega come sono andate le cose e cosa sta accadendo in Italia, le regole del gioco che hanno dato in pasto ai pesci grossi come Rai e Mediaset i pesci piccoli del mondo dell’editoria, quelle piccole realtà indipendenti ed indispensabili per garantire il pluralismo dell’informazione.
Come possiamo aiutare Telejato?
Telejato ha alle spalle 33 anni di duro lavoro, di battaglie antimafia, di inchieste giornalistiche che hanno smascherato illeciti in ambienti insospettabili. Malgrado le numerose difficoltà, le intimidazioni, gli attacchi subiti ed i tentativi di annientare il giornalismo d’inchiesta, Pino Maniaci ed i suoi familiari sono andati sempre avanti con coraggio.
Ma oggi l’ostacolo da superare è enorme.
“Per continuare a trasmettere – racconta Pino Manicaci – serve un contratto di circa quarantamila euro l’anno, cifra astronomica per le tasche di Telejato, che essendo una tv comunitaria, a conduzione familiare, vive esclusivamente di quei pochi soldi derivanti dalla pubblicità. Non abbiamo mai ricevuto finanziamenti pubblici e la nostra informazione è sempre stata gratuita per tutti e tutte, tant’è che le nostre inchieste hanno fatto il giro del mondo e noi non abbiamo ricevuto in cambio mai niente, anzi: ci siamo presi le bastonate, siamo stati vittime di decine di attentati e abbiamo rischiato la vita. Ma siamo sempre andati avanti, perché per noi il giornalismo è una vera e propria missione. Abbiamo cercato alternative, potenziando il web e avviando lo streaming del nostro canale su telejato.it. Tuttavia, comprendiamo che gran parte del nostro pubblico è composto anche da persone meno avvezze alla tecnologia, e che vorrebbero continuare a seguirci in tv. È anche per loro che vogliamo continuare a trasmettere. Aiutateci a superare questo ennesimo ostacolo, se così possiamo definirlo. Ogni piccolo contributo è preziosissimo. Non lasciateci soli.”
E’ in corso una raccolta fondi ed anche una piccola donazione può fare la differenza.
Per donare puoi utilizzare le seguenti modalità:
- GoFundMe: gofund.me/08e7d09f
- PayPal: paypal.me/sostienitelejato
- Iban: IT28G0200843490000106383925 intestato a Associazione Culturale Marcon
Obiettivo: Riaccendere gli impianti di Telejato, tornare sugli schermi televisivi e continuare a garantire il diritto all’informazione a tutti i cittadini.
Telejato non deve chiudere
Quello che sta accadendo a Telejato è a molte altre emittenti radiotelevisive locali è assurdo e va contro il diritto all’informazione e alla libertà di espressione sanciti dalla nostra Costituzione.
Tutto questo significa spegnere i riflettori si interi territori, privare i cittadini del diritto all’informazione, non dare più voce agli stessi cittadini che nelle emittenti radiotelevisive locali trovano un punto di riferimento per portare avanti battaglie di giustizia, legalità, per denunce pubbliche.
Oltretutto, queste chiusure danno l’ulteriore mazzata al mondo dell’editoria ed in generale ai lavoratori, quelli che operano nel settore in primis. Proprio quello che si sarebbe dovuto scongiurare in un periodo così difficile per gli italiani, fra l’ombra della guerra alle porte, le conseguenze economiche e sociali dovute alla pandemia e l’aumento del costo della vita.