PER ASSAGGI D’AUTORE IL RACCONTO “FINCHE’ CE N’ERA” DI APOLAE
Di Apolae
Non vedevo l’ora di tornare a casa, farmi una doccia e battere il cinque ai ragazzi, convincendoci che ce l’avremmo fatta. Che poi ci credessi o meno, oddio, un fattore secondario, bastava fossero loro a farlo. Infilai le cuffie del lettore CD e mi feci accompagnare sul regionale dal tema di Get Lucky, l’ultima dei Daft Punk. Intro della Madonna, Pharrell liscio come uno Jägermeister, testo emblematico. Noi volevamo essere fortunati, sul serio, ma di una fortuna che andava inseguita e presa al volo, non quella che si aspettava sbracati sul lungomare, arancina fredda e spuma sgasata, così semmai fosse passata dalle nostre parti, mentre eravamo indaffarati a scazzare, noi in qualche modo ci saremmo fatti trovare pronti. Il terzo millennio era cominciato da poco e suggeriva novità di tutti i tipi, qualcuna ne aveva già portata, la crisi dell’economia, le scosse del terremoto, la minaccia del terrorismo, eppure oltre il burrone una molla avrebbe lanciato tutti quelli che sarebbero rimasti in equilibrio sul filo, minchia, noi compresi.
Coi compari ci ritrovavamo spesso a guardare il tramonto scivolare nel golfo, svaccati su sdraio e lettini, coi Calippo che si squagliavano tra le dita, a misurarci i nostri sogni per il futuro, come se facessimo la gara a chi pisciasse più lontano. Avremmo voluto vedere l’alba tutti insieme, una volta o l’altra, ma c’era sempre qualcuno che non si svegliava in tempo e mandava a monte. Mentre decidevamo come ruolare una nuova sessione di Dungeon & Dragons di fronte al furgoncino-cornetteria del Lurdu, Neno piombò trafelato. Lo chiamavamo Towershield, tozzo come un grande scudo, con la Ralph Lauren spiegazzata, i capelli sconvolti tipo dito nella presa elettrica e una striscia di rossetto sbavata dal naso alla bocca. Le palme della riviera smisero di oscillare, quasi a sentire cosa avesse da dire. Prese una storia alla larga, che con la sua parlantina eloquente gli veniva facile, tenendoci tutti all’amo come merluzzi dopo svariate introduzioni alla vicenda, di continuo interrotte da divagazioni senza capo né coda, per entrare nel cuore dell’azione. Prima però accese una siga al volo, per scaricare l’adrenalina residua e tenerci alla lenza ancora qualche secondo. Miii, che farabutto quel Towershield. Venne fuori che s’era da poco montato una mezza tossica nella cabrio regalo del padre, il signor Architettosotuttoio. Con la capote rigorosamente chiusa, chiaro, altrimenti una multa per atti osceni non gliel’avrebbe levata nemmeno il Padreterno. Insomma, si trattava di una tipa n anni più grande di lui, una che bazzicava localacci punk e metal, alla quale aveva appena scostato la mutandina, quel tanto che bastava per tuffarsi dentro, spalancare le gambe manco fosse una coreografia della Abbagnato e farci un dentro-fuori da paura, mentre quella ruttava tutto lo sfincione che teneva in corpo. Ruttava, non avete letto male. Ragazzi, che fogna umana. Il fumo delle boccate di Neno dava spazio al racconto, finendo nei nostri morsi affondati nella ricotta delle cassate, saranno state le due e mezza. Poi arrivò una coppia di guardie in sorveglianza sul quad e ci mandarono via come cani.
I colloqui ai quali venivo scartato si seppellivano sotto la sabbia delle partite sulla spiaggia alle quali nessuno teneva il punteggio. Me la facevo con Ilenia, stangona di Varese in vacanza coi genitori. Un pomeriggio eravamo tutti in panca a mangiarci una pizzetta e d’un tratto, mizzica, tutti spariti. Ci ritrovammo lì soli soletti, a guardarci come due scimuniti, io sullo sprezzante lei gattina di primo pelo, Vogliono proprio metterci insieme, Uffa ti spiace, No no guarda ci mancherebbe, Ma ti piaccio o no, Mi piaci mi piaci che c’entra, Allora a posto. La coppia era fatta, lei si sciolse a stretto giro con un succhiotto al collo ben assestato, perché i genitori l’avrebbero riportata al Nord in pochi giorni e doveva quagliare in fretta, mi marchiò come un puledro, cosa che al rientro in casa provocò raffiche di domande dai miei eccetera, sicché sganciò una bomba pazzesca il giorno appresso, Stanotte tu vieni con me, E dove vuoi andare, Veniamo qua al mare, E che ci vuoi fare, Ti faccio vedere le stelle. E così fece, la Ile. Mi ricordava un po’ Jennifer, la picciotta frequentata a inizio stagione. Una versione più coinvolgente, però, visto che Jenny entrava in modalità mummia quando si trattava di chiaccherare. Tremenda, giuro. Buttavamo lì qualcosa del tipo: Ciao come stai, Bene tu, Bene dai, Okkei, Alla grande, Sìsì, Vabbè. E basta. Le nostre conversazioni spesso frenavano appena partite, avevamo poco da raccontarci e quel poco non sapevamo neanche come dircelo, che tanto lei mi serviva solo per fottere. Capite? A svagarmi ci pensavano le puntatine con gli amici. Tante, troppe. Se avessi saputo che sarei finito a raccontare la mia storia in giro, beh, certe cagate le avrei evitate. Tipo quando su Badoo attrezzammo con un milfone da infarto una situazione per Santino: bastarono una manciata di chat e la foto del suo randello, roba da occhi pallati se soltanto l’aveste visto. Lei finì per scoparselo quando i figli andavano agli allenamenti di calcio, premiandolo con schede Vodafone da 15 Euro. Ma questa è un’altra storia.
Agosto scrollava esausto la coda, trascinando con sé le sguaiate malinconie di un’altra estate che aveva promesso senza mantenere. Sul giradischi in salotto ruotava fisso Fresh di Kool & the Gang, preso in prestito dai miei. Ne stavo scavando le tracce. Ci sentivamo proprio così: freschi e sfrenati, le nostre pelli ambrate e lucide e odorose e toniche e sane. Mi facevo la doccia massaggiando i quadricipiti doloranti dopo gli squat in palestra e lo stacco netto del segno dell’abbronzatura mi dava godimento già a guardarlo, garantito. Godevo nell’immaginare i segni della tintarella che avrei svelato sulle mie prossime tresche, ammirando il candore delle porzioni di corpo protette da bikini di ogni tipo ed infine svelato prima dell’amplesso: diafane punte di seni, tette ben bilanciate, mozzarellone appese fuori sagoma, zinne piccole e dritte, tosti meloni dalle larghe areole e poi pallidi culetti a mandolino, natiche squadrate, chiappe a ciambella, fondoschiena piallati, culoni strabordanti e ancora nivee fighe nascoste in un mucchio di peli ispidi, indicate da una riga cesellata, guarnite da un baffo sbarazzino, difese da un campo di ruvidi villi rasati. L’acqua della doccia mi sgorgava addosso e io insaponavo le fantasie. Cioè, a me non interessava legarmi, mi posavo di fiore in fiore, scambiando il mio entusiasmo coi loro profumi densi: tutti diversi, tutti da provare. Ci sentivamo come libellule a fine ciclo, in volo retto tanto per sbattere le ali. E io prendevo e davo. Prendevo e davo finché ce n’era.
Poi un giorno incontrai Lalla, che non voleva aprire la corolla a nessuno, Tengo da parte per quello giusto, spiegò curvando una ciocca sul lobo. Era bella lei, non arrapante come Jennifer né provocante come Ilenia, ma emanava un fascino che proprio nessun’altra guardate. Giocava in un campionato tutto suo, niente boiate. Per me fu una sfida irresistibile, una scommessa che avevo intenzione di vincere. Le volai attorno per giorni, stretto. Ci mettemmo insieme. Parlavamo spesso e volentieri del più e del meno. Giocavamo a beach con la cricca. Facevamo il bagno accontentandoci di baci viscosi. Uscivamo a cercare il nuovo nelle sagre di paese, macchiandoci di milza e Frappato. Un viverci diverso, come un luogo che avevo già visitato ma pareva sconosciuto una volta rivisto. Il nostro rapporto non si sviluppava in superficie, com’ero abituato, ma in profondità. I suoi petali si schiudevano lenti, man mano che rallentavo il volo. Facevamo l’amore tra gli ombrelloni addormentati sulla spiaggia, coi i fari della riviera lontani come lucciole quiete e le note di un pianobar sfumate, molli, verso la risacca tinta di rosso.
Sfruttammo il bel tempo fino all’ultimo palpito, prima di tornare alla mia tesi e alle sue ripetizioni di economia. I nostri non se la passavano malaccio, qualcuno rimasto come noi a Palermo, tipo Santino e Turi, ma ormai ci si vedeva poco o nulla. Neno e Mimmo ripartiti tra Bologna e Roma per il nuovo anno accademico di medicina e ingegneria. Filici, l’unico fortunato a lavorare dopo aver vinto un concorso in Marina, lo spedirono di stanza a Taranto e da lì scomparve sui radar. Ilenia già tornata nella nebbia e le sue amiche avevano rotto per le solite beghe tra ragazze. Jennifer si rifece viva al bar per provarci con me, Amo’ mi manchi, ma ormai la sua acqua era passata, il ponte l’avevo superato. Mi scansai per far largo al bagnino che spazzava la passerella, le pedane di plastica scolorite dal sole. Lalla, in pareo pesca al tavolino del bar, organizzava su un blocco note i suoi prossimi appuntamenti, spingendo i Rayban sul naso: Fania, Pippo, Matteo, Alfio, Cruci, Annuzza, Ciccio, Daniele, Mela, Binnu, Lino, Brigida, Lele, Vennira.
Lungo gli anni quelle lezioni private le avrebbe vissute come un apprendistato prima della cattedra, lei che amava insegnare e tanto voleva farlo. Si teneva impegnata a quel modo, onesto compromesso tra quello che sognava e quello che poteva. Sorpresa a inseguire un pensiero sul Mediterraneo, sorrise e mi diede la mano. Sulla torretta del guardaspiaggia sventolava bandiera rossa, ma di lì a poco ci saremmo tuffati comunque e futtitinni. Splash. Fu in quel preciso momento che i luoghi, le persone, gli affetti, tutte le onde accarezzate e schiaffeggiate e le scure spume dei marosi a venire si concentrarono in una goccia stillata nelle nostre pupille, schizzata fuori dalle orbite per nuotare in un gorgo di massa immane e salata, smossa dai venti capricciosi di un possente fiato invisibile sopra i nostri capelli fluenti e scompigliati. Allora strinsi forte le dita di Lalla, ritrovando il coraggio da opporre all’impeto contro i nostri fianchi nudi, per puntare all’orizzonte comunque andasse, oltre la catena di scogli che limitava le acque sicure.
BIOGRAFIA APOLAE
Si fa chiamare Apolae per scrivere liberamente. Ha ricevuto piccoli premi locali per narrativa breve. Nel 2022 è stato pubblicato il suo racconto dal titolo “The Source. Scrivere sull’Acqua” nell’antologia di LibroMania (DeA) . I suoi racconti compaiono online su: Altitudini, CrunchEd, Fiat Lux, Galapagos, Gelo, Grado Zero, In fuga dalla bocciofila, Kairos, L’appeso, L’equivoco, Letture da metropolitana, Liberi di scrivere, Limen Pastiche, Linoleum, Lo Scisma, Metatron, Nabu Storie, Narrandom, Nido di Gazza, Pulpette, Racconticon, Racconti Senzabuccia, Smezziamo, Spaghetti Writers, Squadernauti, Tango Y Gotan, Topsy Kretts e Tremila Battute. Altri testi popolano la pagina Instagram apolae_fotoracconti. Ama la sua famiglia e la letteratura. Si impegna per coniugarle.